martedì 31 maggio 2016

OUT NOW! E.BOOK :: «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Edizioni Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)


E' finalmente disponibile online l'antologia e.book curata dal collettivo Obsolete Capitalism intitolata «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Edizioni Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016).

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Gli autori sono: Algorithmic Committee, Sara Baranzoni, Edmund Berger, Lapo Berti, Paolo Davoli, Ettore Lancellotti, Network Ensemble, Obsolete Capitalism, Obsolete Capitalism Sound System, Letizia Rustichelli, Francesco Tacchini, Paolo Vignola. 




Moneta, rivoluzione e filosofia dell’avvenire
a cura di Obsolete Capitalism


Siamo proiettati a velocità fotonica nella comunicazione istantanea e nel controllo continuo mentre le forme di dominio rapido appaiono inarrestabili. Il museo delle ideologie si riempie di concetti in via di esaurimento quali capitalismo, neoliberismo, marxismo, keynesismo. Ora, con più esattezza, il sistema modula i vari flussi che innervano il pianeta: Moneta, Ricerca, Controllo, Informazione, Circuito sono i vecchi nomi che attraverso una nuova velocità producono potere. Maggiore è l’immanenza del Mercato, maggiore è la probabilità che al conflitto si sostituisca l’interruzione, il virus, la fuga di notizie, l’invisibilità, il fuori-circuito, la biforcazione. Uno squarcio nella «zona grigia» dell’egemonia.


Gli autori del libro Moneta, rivoluzione e filosofia dell’avvenire indagano alcune aree poco battute di politica accelerazionista attraverso linee teoriche contagiate dalle filosofie più visionarie: Nietzsche, Klossowski, Deleuze, Guattari, Foucault. Più che analizzare la grande trasformazione culturale in atto, la presente antologia evidenzia i pericoli in cui incorre il pensiero del futuro quando ancora mantiene pratiche, schemi e linguaggi di un’epoca industriale e post-industriale che mostra in tutti i suoi aspetti una crisi perpetua. Siamo tutti coinvolti nel duro intreccio di liberazioni insperate e nuovi asservimenti che ci prospetta la presentificazione del futuro da parte della tecnologia a linguaggio numerico, ma - come afferma Deleuze - «non è il caso né di avere paura, né di sperare, bisogna cercare nuove armi». Sperimentare è dunque il primo impegno politico e filosofico per un futuro differente.

domenica 15 maggio 2016

Georges Sebbag - Foucault Deleuze : Nouvelles impressions du surréalisme @ Hermann Editions, 2015



Dès 1963, Foucault & Deleuze forment un couple tacite sur le plan de la pensée. Ils ont recours au procédé de Raymond Roussel, au métagramme b/p (billard/pillard), pour écrire et forger de nouveaux concepts. La doublure, concept roussellien et foucaldien, peut être convertie en termes deleuziens : la doublure affirme la différence dans la répétition. Aragon et Breton avaient élaboré un projet philosophique et inventé le temps sans fil. Foucault et Deleuze rejouent cette séquence. Tels Brisset, Roussel et Wolfson, ils vont fendre les mots et fracturer les choses. Conscients que l’histoire est sortie de ses gonds, ils cassent eux-mêmes les âges. Ils sont à la recherche de l’événement pur, de l’inactuel, de l’éternel retour du différent. Le duo rédige à l’encre sympathique de Nouvelles Impressions du Surréalisme. On y lira que Foucault est la doublure de l’auteur de La Doublure et que Jarry est le précurseur sombre de Deleuze.

Georges Sebbag est écrivain et philosophe. Il a connu André Breton et Gilles Deleuze. En 2012, il a publié dans cette même collection Potence avec paratonnerre, Surréalisme et philosophie.

giovedì 5 maggio 2016

Antonio Negri: Una prigione a cielo aperto di Michel Foucault @ Il manifesto 05.05.2016


Antonio Negri:
Una prigione a cielo aperto di Michel Foucault
Ripercorrere queste Lezioni Michel Foucault (La società punitiva. Corso al Collège de France (1972-1973), Feltrinelli, pp. 371, euro 35) significa immergersi nelle temperie parigine del dopo ‘68. Sono Robert Castel e Felix Guattari (oltre naturalmente a Gilles Deleuze) che salgono immediatamente sul proscenio quando si parli di istituzioni repressive ed è in relazione all’insieme di temi da loro sollevati, divenuti centrali nella discussione politica, che Foucault apre la sua ricerca. Gli aspetti anti autoritari del ‘68 avevano drammatizzato la figura repressiva dello Stato: su questo tema occorreva far chiarezza. In più c’è l’esperienza del Gip, il «Gruppo di intervento sulle prigioni», di matrice «maoista», al quale Foucault partecipa da protagonista: è un’esperienza dura nei confronti della «giustizia», delle autorità carcerarie e drammatica nel rapporto con i detenuti. Parlare di carcere, parlare col carcere significa infatti scontrarsi direttamente con la struttura del comando sociale e confrontarsi con una funzione specialista ed essenziale dello Stato.
È per Foucault un’apertura alla militanza, alla soggettivazione della lotta. Ma un’apertura interrotta dalla violenza dello scontro, consumata nella sproporzione dell’iniziativa di resistenza contro la risposta del potere. Ribellarsi è giusto ma… Compito immediato dell’intellettuale critico, situato in questa lotta, sarà allora quello di approfondire l’analisi. Il fine è comprendere per ricominciare, un passo diretto dalla teoria alla praxis, facendo del carcere un «caso» non più semplicemente della repressione ma dell’organizzazione del comando capitalista sulla società. Che, in questo frangente, il tema della fabbrica sia accostato a quello del carcere non può dunque stupire: stupisce semmai il fatto che non sia la fabbrica, direttamente, come molto più spesso avveniva in quell’atmosfera, ad essere protagonista. Ma parlare del carcere è parlare della fabbrica: de te fabula narratur.

IL ROVELLO DEL POLITICO

Ed è parlare del «politico», dello Stato come prodotto di una «guerra civile permanente». Di dove esce questa formula? Dal rovesciamento del dicton clausewitziano sulla «guerra come politica fatta con altri mezzi» nella concezione del «politico come immediato terreno di guerra sociale». Oltre a raccogliere temi presenti nel dibattito francese in quegli anni (si trattava di spiegare come la repressione statale delle lotte del ‘68 lasciasse inalterato l’antagonismo sociale) e nel decennio precedente (l’influenza di Socialisme ou Barbarie non è certo diminuita) quel rovesciamento si vuole immediatamente polemico nei confronti della concezione, marxiana e comunista, della lotta di classe. Ben paradossale questa polemica, perché infatti la ricerca foucaultiana affonda la propria base (documentaria e teorica) e consolida il proprio effetto retorico (nel riferimento alla rivolta seicentesca dei Nu-pieds normanni) nella reinterpretazione della lotta di classe di quegli autori marxisti che l’avevano descritta nel periodo di nascita dell’assolutismo moderno. Boris Porchnev (I sollevamenti popolari in Francia, Jaca Book), è la fonte di questo argomento ed è fuori dubbio che per lui «guerra civile permanente» significa nel Seicento «guerra di classe».
Foucault affonda le mani nell’ampia letteratura che in quegli anni tratta della nascita dello Stato moderno ed evidenzia la presenza ossessiva di una «guerra civile permanente» – quella guerra civile che un altro autore marxista, da Foucault largamente studiato, Edward P. Thompson (The Making of the English Working ClassLa formazione della classe operaia inglese, Il Saggiatore. Purtroppo da molti anni assente nelle librerie) aveva descritto per l’Inghilterra, illustrando la genesi dei comportamenti di una classe operaia nascente.

LA VITA SOTTO SEQUESTRO

Il modello del carcere (e quello della fabbrica), riassunto nell’assetto disciplinare del potere, potrà dunque essere interpretato come una nuova lettura della lotta di classe? Non c’è risposta al quesito: larvatus prodeo, ripete Foucault. L’originalità del suo lavoro è comunque poderosa non solo dal punto di vista storiografico (la continua comparazione dei sistemi penali e della morale nel disciplinamento sociale, nelle teorie che ne accompagnano la genesi, la nascita del tipo «nemico sociale» e della penalità adeguata il sorgere del penitenziario in Inghilterra e Francia, la forma-prigione come modello sociale e la fabbrica come sequestro del tempo della vita, etc.) – lo è anche e soprattutto dal punto di vista del metodo ed è sul metodo che qui vogliamo insistere.
Un primo punto consiste nel superamento, condotto in maniera fenomenologica (quando per fenomenologia si intenda alla Merleau-Ponty un orizzonte di esperienza), del metodo strutturalista. È invece un «metodo per dispositivi» quello che Foucault inaugura. Un cammino di immersione nella realtà per farne parlare i molteplici aspetti, esprimendo la potenza degli attori. Se mai si è potuta fare una precisa differenza fra la historia rerum gestarum e le res gestae, qui essa è chiaramente esposta. Res gestae: una storia narrata attraverso l’immersione dell’autore nell’archivio per provocare l’emergere di un regime di temporalità e di un paesaggio storico: la contemporaneità è spinta nel passato per farlo vivere. Sono gli attori stessi della storia ad esser messi in movimento: ne risulta la definizione della politica come guerra dei poveri contro il potere e del potere contro i poveri. È questo rapporto che configura l’oggetto storico.

LA RICEZIONE LIBERALE


Vi è poi un secondo punto essenziale: la forma nella quale il conflitto produce. È un conflitto molteplice, plurale, impossibile da ridurre sotto una sola categoria. Quanto l’interpretazione liberale del pensiero di Foucault ha insistito su questo! Sulla ricchezza della pluralità, micro piuttosto che macro, dissolutiva del dualismo antagonista del marxismo!
Eppure, lungi dall’essere dispersivo, questo conflitto è strutturante – strutturante a vantaggio del potere ma anche disegnato, nella sua instabilità, dalle urgenze del momento, da una molteplicità di motivi sempre da riportare all’unità della funzione – un potere inteso come fragilità e contraddizione. L’importanza della scuola degli Annales (nel periodo braudeliano) su questo passaggio è indubbiamente essenziale – ma quanto ne ha fatto Foucault è irriducibile ad ogni influenza esterna.

Un terzo elemento poi, caratterizza, queste Lezioni nell’evoluzione del pensiero foucaultiano: la nuova definizione del «sapere». Una definizione del «sapere» che comprende e compatta sia la soggettivazione del campo del conoscere sia l’insieme dei meccanismi che ne determinano la complessità. Il sapere di un’epoca (e quello di chi la conosce) non sta fuori ma dentro l’insieme di dispositivi che strutturano, organizzano ed eventualmente disciplinano la vita. Non il mero contesto degli eventi, non il tessuto giuridico, non semplicemente il terreno ideologico: tutto questo deve essere stretto insieme nel caratterizzare un’epoca, il suo farsi e le sue infinite contraddizioni.
La dispersione dei poteri è percorsa dalla respirazione dei saperi che in essa si registra. Una posizione di Foucault contro Althusser? Fu certo giocata in questo senso, come un’estrema e feroce polemica contro la teoria althusseriana degli appareils idéologiques d’État. È bene tuttavia essere prudenti in proposito. Di differente ed irriducibile c’è sicuramente il punto di vista: Foucault guarda le cose «dal basso» e Althusser «dall’alto» – ma in entrambi il collegamento interno ai conflitti, strutturanti il potere, è dato da un sapere capace di inseguire la molteplicità nel configurarsi della macchina del potere.

LE ACCUSE SETTARIE

Leggendo queste Lezioni si capisce quanto pretestuoso fosse il fatto di assumere, allora nel ‘72-’73, il pensiero di Foucault come quello di un «anti-Marx». Rileggendo queste Lezioni continuo a ripetermi che Foucault divenne in Francia un anti-Marx non perché egli lo fosse ma perché Marx era ignoto ai suoi contraddittori, amici o nemici che fossero. Il panorama delle letture di Marx in Francia in quegli anni è, tolte alcune eccezioni, davvero miserabile.
Le letture marxiane più recenti, ma anche antiche come quelle di Porschnev e di Thompson, mostrano un «Marx vivente»: Foucault rilegge questo Marx vivente fuori dalle imbarazzanti apologie marxiste del Pcf e contro ogni autorità, ogni lettura fatta dall’alto, e fa di Marx un tacito attore del proprio metodo.
Ma il problema non riguarda semplicemente la Francia. Quando, alcuni anni dopo, apparve Sorvegliare e Punire, la sua recezione in ambito marxista fu tra le più settarie e cieche che si potessero immaginare. Per l’Italia – dove, assecondando le letture operaiste di Marx, avrebbe potuto essere più semplice leggere quel libro – le critiche furono feroci fra filosofi e ideologi come Asor Rosa e Massimo Cacciari. Ben diverse le letture dei giuristi, fra le quali quella straordinaria di Mario Sbriccoli.
Che dire in definitiva? Quelle Lezioni del ‘72-‘73 costituiscono, come abbiamo detto, una formidabile introduzione alla studio della «guerra civile» che percorre la storia del capitale e dello Stato moderno. Alla forte implicazione soggettiva del metodo manca ancora tuttavia, in quelle Lezioni, l’apporto di una soggettività militante compiuta. L’esperienza del Gip non era stata sufficiente a costruirla. Saranno le lotte degli anni successivi che permetteranno a Foucault di fare ponte, attraverso la militanza, con il suo pensiero degli anni ’80: una soggettività in azione che si vorrà immediatamente costituente.

domenica 1 maggio 2016

LA SOCIETÀ' PUNITIVA - Michel Foucault @ Feltrinelli, 2016

Michel Foucault
La Società punitiva
Feltrinelli, 2016

Per gentile concessione dell’editore, ne proponiamo qui alcuni estratti

Il controllo del tempo è uno dei punti fondamentali di questo sovra-potere che il capitalismo organizza attraverso il sistema statale. Anche al di fuori delle istituzioni di sequestro concentrato, collegio, fabbrica-prigione, casa di correzione – dove l’impiego del tempo costituisce un elemento essenziale […] – il controllo, la gestione, l’organizzazione della vita degli individui [rappresentano] una delle cose fondamentali istituite all’inizio del XIX secolo. Si e dovuto controllare il ritmo con cui la gente voleva lavorare. […] Si sono dovuti mettere al bando la festa, l’assenteismo, il gioco e soprattutto la lotteria […]. Si è dovuto insegnare all’operaio quella qualità chiamata previdenza, renderlo responsabile di se stesso fino alla morte, mettendogli a disposizione delle casse di risparmio. Ora, tutto questo, che nella letteratura dell’epoca è presentato come apprendimento di qualità morali, significa in definitiva l’integrazione della vita operaia al tempo di produzione, da una parte, e al tempo del risparmio, dall’altra. Il tempo della vita, che poteva essere scandito dallo svago, dal piacere, dalla fortuna, dalla festa, ha dovuto essere omogeneizzato per essere integrato a un tempo che non è più quello dell’esistenza degli individui, dei loro piaceri, dei loro desideri e del loro corpo, ma quello della continuità della produzione, del profitto. Si è dovuto gestire e assoggettare il tempo dell’esistenza degli uomini a questo sistema temporale del ciclo di produzione. […]
All’apparenza, queste istituzioni sono destinate a essere monofunzionali: il collegio istruisce, la fabbrica produce, la prigione applica una pena, l’ospedale cura; e in linea di principio non si capisce perché il collegio dovrebbe chiedere al bambino qualcosa di diverso dall’apprendere, l’ospedale qualcosa di diverso dal guarire ecc. Tuttavia esiste un supplemento di costrizione, indispensabile all’esistenza di queste istituzioni. Il discorso che attraversa il regolamento di una manifattura non e mai: «Lavorate e, fuori dal lavoro, fate quel che volete»; il discorso della scuola non consiste mai nel dire: «Imparate a leggere, a scrivere, a fare i calcoli, ma se preferite potete anche non lavarvi». In realtà queste istituzioni si fanno carico del controllo diretto o indiretto dell’esistenza. […] Si potrebbe dire che queste istituzioni di sequestro siano «in-discrete» nella misura in cui si occupano di ciò che non le [riguarda] direttamente. […]. Non è certo la prima volta che il comportamento individuale entra nel discorso, e non è stato necessario aspettare queste istituzioni di sequestro perché il quotidiano, l’esistenza nella sua intimità, sia effettivamente ripreso all’interno di un sistema di discorsività. Dopotutto, la confessione cattolica è una delle maniere di farlo entrare in un tipo di discorsività. Ma essa è caratterizzata dal fatto che è il soggetto stesso a parlare; non lascia mai nessun archivio; e la discorsività a cui la confessione dà luogo è inserita nel quadro di qualcosa come una casistica. Ora, ciò che vediamo comparire nel XIX secolo è tutt’altro: è una discorsività che riprende il quotidiano, l’individuale, l’intimo, il corporeo, il sessuale in un certo spazio definito da istanze di sequestro. […] Mentre la confessione verte sempre su un caso – cosa è successo in questa o quella circostanza –, la discorsività che nasce all’interno di queste tecniche generali di sequestro seguirà l’individuo dalla nascita alla morte e sarà il discorso della sua intera esistenza. […].

In breve, [la tesi prevalente era che] alla crescita del capitalismo corrispondeva tutta una serie di movimenti di sedizione popolare, ai quali il potere della borghesia avrebbe risposto con un nuovo sistema giudiziario e penitenziario. Ma non sono sicuro di aver impiegato a ragione il termine «plebe sediziosa». Mi sembra infatti che il meccanismo che ha portato alla formazione di questo sistema punitivo è in un certo senso più profondo e più grande di quello del semplice controllo della plebe sediziosa. Ciò che la borghesia ha chiesto all’apparato di Stato di controllare tramite il sistema penitenziario è qualcosa di cui la sedizione rappresenta solo un caso particolare, è un fenomeno più profondo e più costante: l’illegalismo popolare. Mi sembra che, fino alla fine del XVIII secolo, un certo illegalismo popolare non solo era compatibile con, ma utile allo sviluppo dell’economia borghese; finché è arrivato un momento in cui questo illegalismo, che funzionava in connessione con lo sviluppo dell’economia, è diventato incompatibile con esso. […] In fondo, la borghesia, appoggiandosi sia su un illegalismo dei privilegiati, di cui tentava di farsi accordare i privilegi, sia su un illegalismo popolare, che costituiva, per cosi dire, la sua avanguardia di lotta, e riuscita a sovvertire le forme giuridiche […]. Guardando le cose da un punto più elevato, si potrebbe dire questo: per controllare l’apparato giuridico dello Stato, dal Medioevo in poi la borghesia ha inventato tre mezzi. In primo luogo, appropriarsi dell’apparato giudiziario: vale a dire la venalità delle cariche. In secondo luogo, introdursi nell’apparato di Stato e amministrarlo. In terzo luogo, far praticare l’illegalismo: lasciare che lo praticassero gli altri strati sociali, in modo da poterlo praticare a sua volta in un sistema funzionale degli illegalismi concertati e, grazie a ciò, sovvertire quella legalità che aveva potuto favorirla ma che aveva assunto un peso eccessivo. […] Quando prenderà il potere, la borghesia metterà mano a questo apparato, amalgamato al sistema generale degli illegalismi, e lo incaricherà di far applicare la sua legalità. Cosi, questo elemento del penitenziario, che a mio avviso funzionava nella rete del non-legale, sarà preso in carico e integrato al sistema della giustizia, esattamente nel momento in cui la borghesia non potrà più tollerare l’illegalismo popolare. […]
Ciò che ha trasformato la penalità alla svolta del secolo è l’adeguamento del sistema giudiziario a un meccanismo di sorveglianza e di controllo; è la loro integrazione comune in un apparato di Stato centralizzato; ma è anche la creazione e lo sviluppo di tutta una serie di istituzioni (para-penali e a volte non penali) che dovevano servire da punto d’appoggio, da avamposto o da forme ridotte all’apparato principale. […] In un passo delle Lezioni sulle prigioni Julius opponeva le civiltà dello spettacolo (civiltà del sacrificio e del rituale in cui si offre a tutti lo spettacolo di un evento unico e in cui la forma architettonica principale è il teatro) alle civiltà della sorveglianza (in cui bisogna assicurare a qualcuno un controllo ininterrotto sul maggior numero di persone; forma architettonica privilegiata: la prigione). E aggiungeva che la società europea che aveva sostituito lo Stato alla religione offriva il primo esempio di una civiltà della sorveglianza. Il XIX secolo ha fondato l’era del panoptismo. […]
Si è sempre abituati a parlare della «stupidità» della borghesia, ma mi chiedo se il tema della stupidità borghese non sia un tema per intellettuali: quelli che si immaginano che i commercianti siano ottusi, gli uomini con i soldi siano cocciuti e gli uomini di potere ciechi. Contrariamente a questa credenza, invece, la borghesia è di un’intelligenza notevole. La lucidità e l’intelligenza di questa classe che ha conquistato e conservato il potere nelle condizioni che sappiamo producono certo degli effetti di stupidità e di accecamento, ma dove se non appunto nella massa degli intellettuali? Gli intellettuali si possono definire come coloro su cui l’intelligenza della borghesia produce un effetto di accecamento e di stupidità. (Continua)