domenica 31 gennaio 2016

4.1. Sovvertire l’effetto frenante della totalità - Parte XXXI - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski». (Rizosfera/OCFP, 2016).



Sovvertire l’effetto frenante della totalità

4.1. - Parte XXXI

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski». (Rizosfera/OCFP, 2016).
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Se esaminiamo le opere principali di Deleuze, Foucault e Klossowski tra il 1968 e il 1972 vediamo che le traiettorie di questi testi hanno oggettivamente le caratteristiche enigmatiche e comuni per essere qualificate come «ricerche frammentarie»; si tratta di indagini che a fatica si riescono a comporre e immaginare se le valutiamo da una prospettiva «rivoluzionaria» per cercare di comprendere su quale terreno comune di lotta e di programma agiscono i tre intellettuali. Si passa con un certo aplomb da saggi dal sapore accademico, lungimiranti e ricchi, quali Differenza e ripetizione o L’archeologia del sapere, alle opere ermeneutiche riguardanti Nietzsche - sia che si tratti di antologie di frammenti quali Nietzsche e il circolo vizioso, che delle prime edizioni delle sue Opere complete presso Gallimard - proseguendo per testi di critica letteraria o di letteratura tout court quali Logica del senso o Le dame romane, per terminare con criptici saggi economici, La moneta vivente o pamphlet aggressivamente politici, L’anti-Edipo; non parliamo poi dei corsi universitari, dove si spazia da Freud a Marx, da Aristotele a Nietzsche, dalla moneta greca all’Inquisizione nel Medioevo o alla storia della sessualità, senza soluzione di continuità. Con una certa ironia, Foucault stesso, nella prima lezione del 7 gennaio 1976 nel corso intitolato Bisogna difendere la società (MP, 163), vuole porre termine ad una serie di ricerche che egli stesso definisce come incoerenti e discontinue. Foucault sente la necessità di concludere e sistematizzare, in un qualche modo, gli innumerevoli percorsi di ricerche, intuizioni e approfondimenti che ha svolto fin dall’inizio delle lezioni al Collége de France (1970). Da un certo punto di vista, Foucault non parla solo delle sue ricerche ma allude anche a un percorso comune della rizosfera francese rivoluzionaria quando, tra le cose importanti o, almeno interessanti, degli ultimi quindici-vent’anni, elenca «l’efficacia di un libro come L’anti-Edipo, che non si riferiva praticamente a nient’altro che alla sua stessa prodigiosa inventività teorica: libro, o piuttosto cosa, avvenimento che è riuscito a rendere rauco, sin nella sua pratica più quotidiana, il mormorio pure così a lungo ininterrotto che è passato dal divano alla poltrona” (MP, 165). Si tratta di una segnalazione importante ai propri studenti dato che l’opera filosofica di Deleuze è sempre stata un riferimento fondamentale per Foucault, in quanto si è costituita come apertamente «alleata» del suo pensiero fin dai primi anni ‘60, perlomeno dall’inizio della «Nietzsche Renaissance» e, dunque, a partire dall’opera Nietzsche e la filosofia (1962) e il convegno di Royaumont (1964). Ciò che stupisce è l’importanza tributata da Foucault al testo anti-edipico poiché la sua analisi prende in esame i «dieci, quindici, al massimo venti ultimi anni», dunque il lasso di tempo che, grosso modo, va dal 1956 al 1976: non solo L’anti-Edipo è l’unico libro citato, ma è il suo posizionamento all’interno del ragionamento svolto da Foucault stesso a stupire. Il libro viene infatti inserito nel merito della “stupefacente efficacia delle critiche discontinue, particolari e locali” e la sua efficacia viene paragonata a quella di interi movimenti quali l’anti-psichiatria, l’analisi esistenziale e gli attacchi contro l’apparato giudiziario e penale. Conclude Foucault: “Quel che emerge è la proliferante criticabilità delle cose, delle istituzioni, delle pratiche, dei discorsi: una specie di friabilità generale dei suoli, anche e forse soprattutto i più familiari, i più solidi ed i più vicini a noi, al nostro corpo, ai nostri gesti di tutti i giorni. Ma insieme a questa friabilità ed a questa stupefacente efficacia delle critiche discontinue, particolari e locali, si scopre in realtà  qualcosa che forse non era previsto all’inizio, quel che si potrebbe chiamare l’effetto inibitore proprio delle teorie totalitarie, globali. Non credo che queste teorie globali non abbiano fornito e non forniscano ancora in modo abbastanza costante degli strumenti utilizzabili localmente: il marxismo e la psicanalisi stanno lì a provarlo. (...) In ogni caso, ogni ripresa nei termini della totalità, ha condotto nei fatti a un effetto frenante” (MP, 165-166). Seguendo lo schema di Foucault, e schematizzando a nostra volta, vengono messi in evidenza due schieramenti contrapposti: da un lato, il fronte «accelerazionista», discontinuo, particolare, locale, dall’altro un fronte «inibitore», «frenante», continuo, globale, totale, se non apertamente totalitario. Il marxismo, la psicanalisi possono essere ancora degli strumenti che, a livello locale, possono essere utili, ma nei fatti, per Foucault, essi hanno svolto un ruolo «frenante» e, dunque, negativo per il fronte insurrezionale. L’Anti-Edipo, secondo Foucault, rientra a pieno titolo nell’insieme delle entità critiche che smottano i «suoli» con efficacia e che possiedono alcune caratteristiche che possono essere riassunte in tal modo: 1) produzione teorica autonoma, non centralizzata 2) ritorni di sapere che discendono dall’insurrezione dei saperi assoggettati.
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sabato 30 gennaio 2016

3.10. Secondo ritratto d’autore del rivoluzionario: il nomade rizomatico deleuziano - Parte XXX - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/OCFP, 2016)




Secondo ritratto d’autore del rivoluzionario: il nomade rizomatico deleuziano 

3.10. - Parte XXX - 


Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/OCFP, 2016)



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Seguendo l’Anti-Edipo abbiamo una visione del rivoluzionario schizo-delirante del tutto canonica, tipica di una certa controcultura degli anni ‘60-’70: “un tipo schizo-rivoluzionario, che segue le linee di fuga del desiderio, attraversa il muro e fa passare i flussi, monta le sue macchine e i suoi gruppi in fusione nelle enclavi o alla periferia, procedendo al contrario del precedente [il paranoico-fascisteggiante] : non sono dei vostri, sono eternamente della razza inferiore, sono una bestia, un negro” (AE, 315). In realtà, altri passaggi attribuibili al solo Deleuze sono molto meno rassicuranti, anche per la controcultura del secondo Novecento: “I militanti rivoluzionari non possono non essere strettamente implicati dalla delinquenza, dalla deviazione e dalla follia, non come degli educatori o dei riformatori, ma come coloro che possono leggere soltanto in quegli specchi il volto della loro propria differenza” (ID, 254). Il sovversivo è dunque un simulacro prismatico che deve far propri i punti di vista anche del delinquente, del deviato e del folle, rilevando e problematizzando una doppia differenza: tra sé e la marginalità in cui si specchia, e tra i marginali fantasmati, di cui fa parte, e il resto del corpo sociale. E’ dall’elaborazione di queste differenze relative e assolute che la fisionomia del militante rivoluzionario acquisisce una propria singolarità deforme, in misura maggiore rispetto a una presunta vocazione antagonista che si auto-afferma in negativo rispetto alla «gente per bene» e che si costruisce come falsa contro-identità. Deleuze, però, ha una visione diversa sia dal piano trascendente guattariano, sia dalla controcultura dominante nel secondo Novecento: con Klossowski, egli pensa che Nietzsche “concepisca una nuova strategia e un altro modo di combattere” (CV, 68). Ma a differenza di Nietzsche, il rizomatico non è nichilista, crede nella rivoluzione come evento accelerato di trasvalutazione di valori; per questo se accetta il registro della parodia corrosiva, lo vira in positivo, cercando “nuove armi”. Questa nuova politica determina un nuovo modo di lottare che non «rima» nel modo più assoluto con lo storico del movimento socialista del XIX e XX secolo. Per valutare le differenze tra le due proposte, vediamo di approfondire la nozione di complotto così come è rielaborata da Deleuze sull’asse Klossowski-Nietzsche. “C’è un tema - afferma Deleuze - che Klossowski ha sviluppato, mi sembra, contemporaneamente a quello della perdita d’identità: è il tema della singolarità, poiché le singolarità sono alla lettera delle non-identità. Stando a quanto afferma Klossowski, un complotto è una comunità di singolarità. Il problema diventa politico (in un senso nuovo o vecchio del termine, ha poca importanza) con la seguente domanda: come concepire una comunità di singolarità?” (CV, 73). Abbiamo qui, per la prima volta nella storia, l’individuazione di un nuovo modo di essere rivoluzionari, e un’ambiziosa proto-architettura della Connessione tra Ritmi di monadi eretiche, o frequenze intensive a-quantitative: una strategia, dei modi, delle non-identità, del tutto difformi a quanto sino ad ora espresso dalla Modernità, un rovesciamento della stessa natura dell’organizzazione sociale e, dunque, del concetto stesso di rivoluzione, a favore di un’euristica insurrezionale. Un tipo di rivoluzione che non riconosce come modelli utilizzabili le rivoluzioni precedenti, di cui interrompe la serie, e che non ha come scopo ultimo la conquista del potere. E, infine, un tipo di rivoluzione che è più vicina a un’«arte di vivere impersonale» piuttosto che a un’«arte della politica pura», come ha finemente scritto Foucault (Introduzione all’Anti-Edipo, 1977). “La cosiddetta società è una comunità di regolarità”, continua Deleuze a Cerisy-la-Salle o, a rigore, un certo processo selettivo che accoglie delle singolarità adeguatamente scelte e le regolarizza. Generalmente essa sceglie, per esprimersi in termini psichiatrici, delle singolarità paranoiche, poiché ciò si addice al funzionamento di una società. Ma un complotto è una comunità di singolarità di tipo differente, che non si lasciano regolarizzare, che partecipano a nuove connessioni, e che sono in questo senso rivoluzionarie” (CV, 73). Siamo qui nel vero e proprio cuore sia del frammento I forti dell’avvenire di Nietzsche sia del Pensiero nomade di Deleuze. E se il senso della frase di DeleuzeEcco forse la massima profondità di Nietzsche (...) aver trasformato il pensiero in una macchina da guerra (ID-PN, 329), acquista una sua pregnanza solo alla luce del frammenti accelerazionisti del 1887, la filosofia anedipica è la continuazione della stessa macchina da guerra con altri mezzi, adeguati alla propria epoca. Così, con gli occhiali dell’Anti-Edipo, il grande processo di regolarizzazione è il grande processo dell’oikonomia occidentale in quanto permette il funzionamento razionale di una comunità numericamente elevata di individualità assoggettate al mercato mondiale, unica modalità possibile, storicamente realizzata, che abbia permesso alla “specie umana di mantenersi a livello dell’uomo (...) mediante la produzione e (...) attraverso l’assurdità di un lavoro che riduce totalmente le sue risorse morali” (CV, 62). Ciò che risulta indecidibile e dunque non economizzabile è il legame che si può fondare tra singolarità irregolari: non già «istituzioni» ma bensì «connessioni». Il criterio selettivo dell’Eterno Ritorno - se la prospettiva impiegata è la biforcazione estrema di produzioni discrete di non-identità da macro-ripetizioni di identità omogenee - è plausibile solo in funzione di una doppia selezione di tipologie umane: l’essenziale come valore-massa, cioè una ratio funzionale alla forma assunta dalla società mercantile, e il surplus come valore-scarto, eccedenza, un plusvalore-singolarizzato, impersonale, disindividualizzato e perciò favorevole alla «formazione di società, di gruppi» (CV, 74). Per il filosofo parigino gli «uomini del surplus» “non si spostano e si mettono a vivere da nomadi per restare allo stesso posto sfuggendo ai codici” (ID-PN, 329). Il nomade, per Deleuze, é un centro mobile di forza, un incantato viandante con orizzonti inauditi, un viaggiatore immobile sui corpi collettivi. Rimane però un grande enigma. Sia i gregari che gli inassimilabili vivono e lottano all’interno di un macro-scenario di una iniquità deprimente e assurda. Come sciogliere questo nodo per i nuovi sediziosi? Come tessere la rete di punti d’individuazione o di nodi leggeri auto-organizzati all’interno della megastruttura sociale unificante, e come determinare che tale rete sia capace di reggere nel tempo le connessioni tra diversità?

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venerdì 29 gennaio 2016

3.9. La sedizione delirante della «grande politica» - Parte XXIX - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/OCFP, 2016)

La sedizione delirante della «grande politica»

3.9. - Parte XXIX -

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/OCFP, 2016)
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Per articolare al meglio la figura del rivoluzionario chez Deleuze dobbiamo effettuare un salto all’indietro nel tempo, rispetto al periodo delle lotte degli anni ‘60 e ‘70. Nel maggio del 1957 Deleuze assiste al Collège de Philosophie di Parigi a una conferenza di Pierre Klossowski intitolata Nietzsche, le Polythéisme et la Parodie. Klossowski è reduce da un intenso periodo di studi nietzscheani, culminati nella pubblicazione di Le Gai Savoir (1954): la sua traduzione è ritenuta dall’intera comunità nietzscheana francese «magistrale». All’interno del celebre testo del 1957 c’è un passaggio che ci preme evidenziare perché Klossowski contrappone, attraverso la figura dell’«attore interprete di una rivelazione divina», istituzioni catecontiche e creazione artistica antinomica, inondante e perciò accelerata. Val la pena leggere tutto il passaggio klossowskiano nella sua completezza : “L’arte ha un senso assai vasto e, in Nietzsche, questa categoria comprende tanto le istituzioni quanto le opere di creazione disinteressata. Per esempio - e qui vediamo subito di che cosa si tratta - come ha considerato Nietzsche la Chiesa? La Chiesa è per lui costituita, più o meno, da una casta di impostori profondi, i preti. E’ un capolavoro di dominazione spirituale e c’è voluto un plebeo come quel monaco impossibile che è Lutero per pensare di abbattere questo capolavoro, l’ultimo edificio della civiltà romana che ci resti. Tutta l’ammirazione che Nietzsche ha sempre tributato alla Chiesa, al papato, poggia proprio su quella concezione per cui la verità è un errore e l’arte, errore voluto, è superiore alla verità: perciò Zarathustra confessa la sua affinità con il prete e, nella quarta parte, al momento dello straordinario raduno dei diversi tipi di uomini superiori nella caverna di Zarathustra, il Papa, l’ultimo dei Papi, è fra gli ospiti d’onore del profeta. E in questo senso, penso, ancora una volta si tradisce in Nietzsche la tentazione di prevedere una classe dirigente di grandi meta-psicologi destinati a prendere nelle loro mani i destini dell’umanità futura in quanto perfettamente esperti delle diverse aspirazioni dell’umanità e delle risorse per soddisfarle” (SF, 26). Come si può notare, già in questo testo l’autore fa balenare ciò che diventerà poi evidente nella sua opera del 1969, Nietzsche e il circolo vizioso, e nella traduzione dei Frammenti postumi 1887-1888 di Nietzsche (1976), ovvero che negli anni ‘80 dell’Ottocento Nietzsche stava iniziando a sistematizzare una concezione di «grande politica» che avesse per tema il circuito artistico, le istituzioni, le caste dominatrici, le masse gregarie e quell’oikonomia che si poteva concedere il lusso di un «surplus» di risorse per finanziare questa peculiare volontà di potenza. Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, è solo attraverso l’edizione critica di Colli e Montinari che Klossowski appaga la propria implacabile sete di conoscenza in merito all’enigmatico «complotto politico, economico, istituzionale» dei forti dell’avvenire. Deleuze, nella sua lettera del 19/12/1969 a Klossowski, già immerso nel cantiere dell’Anti-Edipo, afferma “Penso spesso a Voi, poiché ho appena riletto il Vostro «Nietzsche». La mia ammirazione è totale, immensa. L’ho riletto perché avevo bisogno di parlarne in un libro che sto attualmente componendo. (Ho la sensazione che le pagine in cui parlo di Voi, siano le migliori) (LAT, pos. 1069-70). Deleuze, infatti, recupera proprio dal Nietzsche di Klossowski il concetto di accelerazione dei processi di una comunità di irregolari che guastano i codici. In tal modo rafforza e prolunga l’ipotesi cospirativa di Klossowski-Nietzsche, incistandola in profondità nelle lotte reali degli anni ‘70. Per meglio valutare questa nuova alleanza, è di assoluto valore lo scambio di riflessioni e di prospettive che i due filosofi effettuano nel dialogo aperto che segue la conferenza Circulus Vitiosus di Klossowski a Cerisy-la-Salle nel luglio del 1972. Klossowski nel corso della conferenza riprende esclusivamente i due frammenti che già ha commentato nel libro del 1969, Nietzsche e il circolo vizioso, e che costituiscono il nucleo portante della sua opera: il 10 [17] e il 9 [153] - I forti dell’avvenire; è proprio leggendo I forti dell’avvenire, il 9 [153] che Klossowski afferma la centralità essenziale di tale testo definendolo come «il cuore del complotto» di Nietzsche (CV, 61). Penetrazione in profondità di un doppio cuore attraverso una doppia lettura: Klossowski rilegge il Nietzsche complottista alla luce del complotto schizo-nomade che Deleuze orchestra nel cuore accelerazionista dell’Anti-Edipo, cioè il passaggio finale di La macchina capitalistica civilizzata. Dopo la lettura del frammento 9 [153] Klossowski si domanda: “Che cosa diventa il comportamento nietzscheano, considerato nel contesto delle nostre inquietudini attuali, non più dal punto di vista della nozione di potenza ma dal punto di vista del circolo vizioso, inteso come figura di un giudizio nichilista formulato su qualsiasi azione?” (CV, 62). Le «inquietudini attuali», cioè il disagio giovanile, le lotte rivoluzionarie e la contrapposizione tra forze avverse, diventano la dimora per una riflessione sul «comportamento nietzscheano» rilevato però dal punto di vista del concetto dell’Eterno Ritorno - il circolo vizioso e non più dalla prospettiva del desiderio/volontà di potenza; tra le versioni dell’Eterno Ritorno a disposizione, Klossowski privilegia la «figura di un giudizio nichilista formulato su qualsiasi azione» - ovvero il peculiare atteggiamento parodistico che Nietzsche mantiene su tutto lo scenario della gestione economica planetaria e che acquista un suo particolare vigore e un’aggressiva baldanza nel periodo post-Zarathustra. “Ricorderò ancora una volta - afferma Klossowski ad un’attenta platea che comprendeva, oltre allo stesso Deleuze, Lyotard, Derrida, Calasso, Nancy, tra gli altri - l’evoluzione del pensiero dell’eterno ritorno. Questo pensiero, oggetto di contemplazione, diventa lo strumento di un complotto. E’ a partire da questo stadio che il dio circolo vizioso può essere concepito come la manifestazione di un delirio. Mi chiedo ora se questo comportamento possa diventare efficace in quanto figura delirante di un comportamento rivolto all’attualità, oppure se, in generale, ogni comportamento delirante costituisca ormai una resistenza efficace nei confronti di una determinata forza avversa(CV, 63). Nietzsche, secondo Klossowski, passa da un puro atteggiamento contemplativo da osservatore biologico, grazie alla scoperta della legge dell’Eterno Ritorno, a un duro atteggiamento politico; cioè costruisce - utilizzando la terminologia deleuziana-guattariana - una propria macchina da guerra per trasformare la legge dell’Eterno Ritorno in un complotto che rovesci la dominazione attuale realizzatasi attraverso l’accentuato livellamento dell’uomo industrializzato. Ma perché il complotto è delirante? Per due motivi: il primo perché solo la doppia parodia del modello sociale vigente e del suo simulacro è sovvertitrice realmente di tutti i codici - la parodia e il delirio sono le critiche più potenti al potere, e paradossalmente anche le più politiche - in quanto deriva dal giudizio nichilista su qualsiasi azione politica, giudizio reso come riflessione ponderata e già acquisita; il secondo è legato alla concezione di «delirio» secondo l’aspetto rilevato da Deleuze e Guattari nella lotta rivoluzionaria post-68 - “Il delirio è la matrice in generale di ogni investimento sociale inconscio. Ogni investimento sociale mobilita un gioco delirante di disinvestimenti, di controinvestimenti, di surinvestimenti(AE, 315) - il che vuol dire che il «delirio» klossowskiano - il radicale uscire dai solchi di ciò che è «stabilito» - coincide con le polarità deliranti presenti nell’Anti-Edipo, intese come incubatrici delle origini sociali della «schizofrenia» deleuziano-guattariana; se è delirante ogni investimento sociale, lo sarà a maggior ragione una cospirazione non più segreta ordita da una banda di dissidenti urbani inoperosi il cui scopo si realizza attraverso i mezzi del proprio manifestarsi. Si chiede Klossowski: può l’atteggiamento schizo-delirante raggiungere una propria efficacia nella situazione rivoluzionaria degli anni ‘70 e, allo stesso tempo, può avere un’efficacia di massima in ogni situazione che si verrà a determinare, così come sembra suggerire la legge «terroristica» del circolo vizioso? Il comportamento schizo-delirante che si presenta come forza affermativa, resistente nei confronti di una determinata forza avversa”, è contingente o universale? Si vede bene dove Klossowski vuol portare il punto della discussione: il processo schizo-rivoluzionario è solo la versione politica attualizzata del Circolo Vizioso, oppure esiste un’identità generale coerente, perentoria, tra Processo, Circolo e Ritorno? O, per parlare come Guattari, L’anti-Edipo è una sorta di Eterno Ritorno Macchinico? Teniamo in sospeso queste domande e ritorniamo ora a Cerisy-la-Salle, seguendo il confronto tra i filosofi rizosferici. Klossowski prosegue affermando che “il pensiero dell’eterno ritorno, che abolisce le identità e priva gli atti del loro contenuto, si combina dunque con la preparazione di un complotto che prevede praticamente alcune sperimentazioni. Secondo Nietzsche, chi vuole il fine vuole anche i mezzi. Ora, la sperimentazione è essenzialmente l’atto, il genere di atti, che si riserva il privilegio di fallire. Il fallimento di un esperimento rivela più del suo successo. A livello di pathos [cioè di intensità] fallimento e successo si confondono nel gioco permanente degli impulsi. La sperimentazione principale tende al successo pratico di un complotto che non si conclude col conseguimento di uno scopo, ma col manifestarsi di una condizione segretamente dominante da sempre, che è ricercata e perseguita come un preteso scopo” (CV, 64). Quante assonanze - e alcune divergenze - con il Guattari di Colloquio a proposito di «L’anti-Edipo»: sperimentazione e desiderio, fallimento e intensità, scopi pretesi e condizioni di dominio. La liberazione del desiderio, l’accumulazione e poi il rilascio accelerato di energia rivoluzionaria, la rivolta contro la sovracodificazione dell’individuo, secondo Klossowski è un’attività sperimentale che non ha nessuno scopo, nemmeno il comunismo o l’anarchia; tale sperimentazione è solamente la manifestazione di un dominio segreto, il divenire senza scopo, frutto di un’intensità anti-gregaria, inassimilabile, libera da ogni codificazione futura e quindi senza istituzioni a venire. Qui c’è una marcata differenza dell’asse Klossowski-Nietzsche con Guattari: e con Deleuze? Per Klossowski, Nietzsche “dicendo «Chi vuole il fine, vuole anche i mezzi», parla contemporaneamente su due registri: quello della gregarietà, quello del caso singolare; quello degli individui identici a se stessi e quello del caso fortuito; quello del senso comune e quello del delirio. Ma quanto s’intende a livello del linguaggio istituzionale è immediatamente smentito a livello del pathos. Il fine, cioè il delirio, è inscritto nei mezzi” (CV, 64). Per ottenere il delirio, inteso come divenire rivoluzionario, bisogna delirare, ma non sarà un delirio artefatto, pianificato, strutturato. Sarà solo l’intensità del delirio a ottenere un delirio abdicante il proprio scopo, da ciò lo status di “grottesco e inquietante” registrato dal pseudo-programma anti-edipico, qualora venisse realizzato (AE, 437). Ecco di nuovo presentarsi i due piani che non s’intersecano: il «piano di organizzazione», genetico-strutturale, a cui appartiene certamente Guattari, e il «piano di consistenza» - dove si compongono “rapporti di movimento e di riposo, di velocità e di lentezza, fra elementi non formati, relativamente non formati, molecole o particelle trasportate da flussi” (CO, 96) - al quale Nietzsche e Klossowski sicuramente sono affiliati. Di nuovo: e Deleuze ?

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