mercoledì 13 gennaio 2016

2.5. Acceleriamo il processo: dromocrazie a confronto - Parte XIII - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/OCFP, 2016)

Acceleriamo il processo: dromocrazie a confronto

2.5. - Parte XIII
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Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/OCFP, 2016)

“Non ritirarsi dal processo, ma andare più lontano, «accelerare il processo», come diceva Nietzsche: in verità, su questo capitolo, non abbiamo ancora visto nulla” (AE, 272).


La conclusione del passaggio sopra riportata è, dunque, quanto di più enigmatico espresso nelle opere di Deleuze e Guattari: contribuisce a rendere ancora più misterioso il senso completo del passaggio e dunque dell’intero paragrafo, se non dell’opera intera. Da questo passaggio finale decisivo proponiamo alcune considerazioni.
Prima considerazione: se assumiamo come base di partenza logica ciò che abbiamo scritto nel paragrafo precedente, dobbiamo ritenere che Deleuze e Guattari stiano proponendo una scelta di campo che, a prima vista, può sembrare platealmente pro-mercato. Allo stesso tempo questa opzione risulta essere del tutto contraddittoria, in quanto sembra superare l’opzione precedente, relativa a una dimensione rivoluzionaria planetaria anti-capitale, che si proietta oltre il localismo, cioè oltre quella dimensione che Srnicek e Williams chiamano folk politics. Non solo si dovrebbe «andare in senso contrario» rispetto all’economia marxista-nazionalista e rispetto alle idealità rivoluzionarie che anelano il rovesciamento dei poteri costituiti, ma, non ritirandosi dal processo mercantile, ci si dovrebbe addirittura unire a queste forze anomiche turbo-capitaliste nell’esasperare e «accelerare» tutte quelle tendenze pericolose che muovono la decodificazione e la deterritorializzazione nella società. A quale scopo? Se si suppone che Deleuze e Guattari non siano agenti subdoli e infiltrati dal nemico, sorge il dubbio che questa unità d’intenti con le forze più estreme dell’economia di mercato sia in vista di un’utilità futura. Quale sarebbe questa utilità? Come si realizzerebbe? Con quali mezzi? Attraverso quali scelte? E, posto che la battaglia volga a favore delle forze decodificanti e deterritorializzanti ribelli, chi ci garantisce che, una volta spazzati via i nemici di ieri, gli alleati di oggi non si rivolgano in futuro contro di noi, e annichiliscano le forze rivoluzionarie decodificanti, così come successe, ad esempio, nella rivoluzione bolscevica del 1917? Vi sono stati esempi di forze insurrezionali e di intellettuali rivoluzionari che hanno agito in passato a favore della repressione, o di una decodificazione favorevole alle forze di mercato: era una tattica precisa facente parte di una strategia superiore il cui scopo era ottenere un beneficio futuro contro una gregarietà maggiore immediata e un arretramento istantaneo. In questi casi il determinismo ideologico prevedeva che attraverso fasi sempre più critiche e surdeterminate il capitalismo sarebbe crollato grazie alle contraddizioni insanabili che portava in grembo. Potremmo citare i celebri esempi di Bertold Brecht e Karl Marx, rispettivamente in Linea di condotta e Discorso sul libero scambio. In questo senso di sostituzione strumentale tra male immediato e bene futuro, la frase “non abbiamo ancora visto nulla”, suona alquanto sinistra in quanto lascerebbe presupporre che più sarà bestiale e violenta la repressione e la gregarizzazione sociale, più veloce sarà la presa di coscienza della propria schiavitù da parte dei singoli e della collettività, avvicinando a tappe forzate il momento dell’esplosione del bene, ovvero il momento fondativo della rivoluzione.
Seconda considerazione: ma che tipo di forza è la forza accelerata rivoluzionaria? Questa domanda appare legittima se assumiamo che l’«andare in senso opposto» al protezionismo rossobruno crea una «prospettiva comune» tra forze che si richiamano a una potenza attiva dell’agire distruttivo dei codici e degli Stati. Dato che la caratteristica saliente di queste forze attive deregolatrici è la velocità, anche nel suo processo cinetico di accelerazione, possiamo chiamare queste forze, dromocratiche. Lo scenario che si apre è allora composto da potenze che «stanno», dunque proteggono, e che si dispongono contro forze che «accelerano», dunque decodificano, e divengono altro dal loro stato iniziale. Se la società dell’economia di mercato tradizionale, trincerata dietro ai propri codici - e che dunque «sta» - dovesse soccombere alla dromocrazia insita nel capitale e nello sviluppo tecnologico, allora la società stessa sarebbe destinata a diventare una società dominata dal turbocapitalismo monoscopico: un’infinita accumulazione all’interno di uno scenario di singolarismo tecnologico. Allo stesso modo, se le forze rivoluzionarie tradizionali che «stanno», e che operano a favore di un contenimento sia delle forze dromocratiche del mercato, sia della tradizionale società codificata, dovessero venire sovraperformate dalle forze dromocratiche che si «nascondono» al proprio interno, cosa potrebbe mai diventare la rivoluzione ? Una potenza desiderante giunta a una tale accelerazione che fa esplodere la società (ID, 337) come afferma Guattari ? Possiamo anche solo concepire o pensare una rivoluzione dromocratica macchinica?


Terza considerazione: Le forze livellatrici dell’«homo democraticus» paiono essere giunte al termine di quel percorso illuminista che ha reso i “buoni occidentali”, prima progressivi accelerazionisti, poi scialbi catecontici. Che il formarsi, ancora confuso, di una «comunità» dromocratica sia il precoce annuncio di un ritorno della Grande Politica annunciata da Nietzsche?


( segue )

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