mercoledì 6 gennaio 2016

1.6. L’anti-Edipo come organon nietzscheano - Parte VI - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)


L’anti-Edipo come organon nietzscheano


1.6. - Parte VI - 

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Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press)


Avvertiamo chiaramente che non potremo più scrivere dei libri di filosofia alla vecchia maniera; non interessano più agli studenti e nemmeno a chi li fa. Mi sembra che tutti stiano cercando qualche rinnovamento. Nietzsche aveva trovato dei metodi straordinari, ma non possiamo riprenderli, bisognerebbe essere scellerati per scrivere «I nutrimenti terrestri» [ Gide, 1897 ] dopo «Zarathustra»” (ID, 174): così risponde Deleuze all’intervistatore di «Les lettres françaises», Jean-Noël Vuarnet, nel febbraio del 1968. Ci sono tre cose che stupiscono nella dichiarazione di Deleuze: la prima, ovvia, è che il forte desiderio di rinnovamento della letteratura e, in particolare, della filosofia era già sentito come impellente prima dello scoppio del Maggio ‘68; la seconda è di accomunare in questa mancanza d’interesse verso la «vecchia maniera» sia i fruitori, sia gli estensori, marcando in modo netto l’evidenza che un determinato «formato» di libro stava tramontando; la terza è il riferimento a Nietzsche come indizio e paradigma dell’autore che già aveva rivoluzionato in proprio il libro filosofico all’epoca di Zarathustra. D’altra parte, se la pietra di paragone è lo Zarathustra e la sua straordinaria modalità espressiva, capiamo subito sia l’ambizione deleuziana, sia l’altezza della sfida che, dal ‘68 in poi, si parava dinnanzi ai giovani filosofi rizomatici e agli sperimentatori di ogni ordine e grado. La sfida che Deleuze intraprende dall’estate del 1969 in poi, grazie all’incontro con Guattari, è di elaborare una forma libro che leghi insieme «il problema del rinnovamento formale» e il «continuum concettuale» (ID, 175). In particolare, il continuum concettuale pare ritagliato ex ante sulla figura di Guattari; si veda come Deleuze sostanzi la propria ricerca  nell’intervista prima richiamata (Jean-Noël Vuarnet, febbraio 1968):
La cosa importante è: da dove vengono i concetti? Che cos’è una creazione di concetti? Un concetto non esiste meno dei personaggi. Credo che occorra un grande dispendio di concetti, un eccesso di concetti” (ID, 175).


Rispetto al «paradigma Zarathustra» il Deleuze post-’69 gioca allora una diversa carta nietzscheana: la de-soggettivazione dell’autore, grazie a un intellettuale onnivoro suo coevo, Félix Guattari, che proviene da una «pragmatica complementare» agli interessi filosofici deleuziani, la psichiatria, e da una «prassi politica» opposta alla sua. Grazie al rialzo della posta autoriale per «un nuovo tipo di libro» (ID-PN, 323), Deleuze si spinge in un’area sperimentale che nemmeno Foucault seppe mai affrontare a tali livelli. Se l’intento di Deleuze era di insegnare «la filosofia contro la filosofia», facendo nostra una splendida definizione di Pierre Klossowski, quale scelta migliore di un partner autoriale, Guattari, che esprimeva tutte le caratteristiche salienti prima riassunte? Ma sentiamo come Klossowski spiega l’approccio di Deleuze nel suo saggio Digressione a partire da un ritratto apocrifo, comparso nel numero 49 di «L’Arc» (1972), un numero monografico dedicato alla filosofia di Deleuze e pubblicato immediatamente dopo l’uscita in libreria dell’Anti-Edipo: “Ciò che Gilles Deleuze apporta e compie si poteva realizzare nel contesto delle ultime generazioni soltanto con una ostinazione istintiva: introdurre nell’insegnamento l’ininsegnabile. (...) Senza dubbio Deleuze fu favorito anche dalle sue affinità con un altro spirito esemplare, le cui esplorazioni liberarono delle zone comuni con le sue: Michel Foucault. Ad entrambi è in comune, sotto ogni aspetto: la liquidazione del principio d’identità. (...) Per ciò che risulta da questa liquidazione del principio di identità a tutti i livelli della conoscenza, su tutti i piani dell’esistenza stessa che la filosofia fino ad allora circoscriveva - e infine nell’insegnamento filosofico fondato tradizionalmente su questo principio, Deleuze intraprende l’avventura di insegnare anche questo ininsegnabile. Al punto di chiedersi: come si può insegnare la filosofia contro la filosofia? Non è per questo Nietzsche diventato folle? “ (SF, 43).

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