mercoledì 27 gennaio 2016

3.7. L’unità nomadica che rifiuta il dispotismo interno - Parte XXVII - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism, 2016)

L’unità nomadica che rifiuta il dispotismo interno

3.7. - Parte XXVII -

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism, 2016)
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Risolti i primi quattro enigmi molecolari, rivolgiamo la nostra analisi al quinto e ultimo quesito molecolare. Formuliamolo in modo diretto: qual’è, in ultima istanza, il problema filosofico e politico urgente che si cela dietro al passaggio «accelerazionista» dell’Anti-Edipo? La prima risposta, la più lineare e pertinente al clima politico dei primi anni ‘70, la troviamo esposta a più riprese nelle opere e negli interventi di Deleuze e Guattari del biennio 1972-1973. Citiamo, in ordine di importanza e per i risvolti interni alla «comunità nietzscheana rivoluzionaria», dall’intervento di Deleuze a Cerisy-la-Salle, Pensiero nomade, nel luglio 1972 (PN-NF, 322): “Il problema rivoluzionario è attualmente quello di trovare un’unità tra le diverse lotte locali senza ricadere nell’organizzazione dispotica e burocratica del partito o dell’apparato di Stato: è il problema di una macchina da guerra che non faccia più riferimento a un apparato di Stato, o di un’unità nomadica in relazione col fuori che non si possa ricondurre all’unità dispotica interna“. Oppure, nell’intervista concessa da Deleuze e Guattari a Vittorio Marchetti per «Tempi moderni» (ID, 300), intitolata Capitalismo e schizofrenia (1972) in cui Deleuze articola il problema nel modo seguente: “Il problema è di sapere in che modo si raggrupperà un certo numero di «macchine» dotate di una possibilità rivoluzionaria. Per esempio, la macchina letteraria, la macchina psicoanalitica, le macchine politiche. O troveranno un punto di congiungimento, come hanno già fatto finora in un certo sistema di adattamento ai regimi capitalistici, o troveranno una unità fracassante in un uso rivoluzionario. Non bisogna porre il problema in termini di primato ma in termini di uso, di utilizzazione “. Lo stesso tema viene argomentato da Guattari nell’intervista a Michel-Antoine Burnier per «Actuel», pubblicata nel 1973 (ID, 339): “Ciò che conta non è l’unificazione autoritaria, ma piuttosto una sorta di dispersione all’infinito: i desideri nelle scuole, nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole materne, nelle prigioni, ecc. Non si tratta di conglobare, di totalizzare, ma di innestare su uno stesso piano basculante. Fino a quando restiamo nell’alternativa tra lo spontaneismo impotente dell’anarchia e la codificazione burocratica e gerarchica di un’organizzazione di partito, non c’è liberazione del desiderio”. Sempre nella stessa intervista, Guattari, esplicita il tema reale dei contrasti riguardanti l’organizzazione rivoluzionaria: “Troviamo ovunque lo stesso trucco: grande dibattito ideologico in assemblea generale, mentre le questioni di organizzazione vengono riservate alle commissioni specializzate. Queste sembrano secondarie, determinate dalle scelte politiche. Mentre invece i problemi reali sono quelli dell’organizzazione, mai esplicitati né razionalizzati, ma che vengono poi proiettati in termini ideologici. E’ qui che sorgono le vere scissioni: il modo di trattare il desiderio e il potere, gli investimenti, gli Edipo di gruppo, i fenomeni di perversione… Poi emergono le opposizioni politiche: l’individuo fa una scelta contro un’altra, perché sul piano dell’organizzazione e del potere ha già deciso l’avversario che odia” (ID, 335). Miserie della politica e non del Politico, si dirà. Non così Deleuze e Guattari, convinti fino in fondo che solo un nuovo tipo di organizzazione può dar vita a un nuovo tipo di politica: “L’organizzazione rivoluzionaria dev’essere quella di una macchina da guerra e non quella di un apparato di stato, quella di un analizzatore di desiderio e non di una sintesi esterna” (ID, 342). Fin qui siamo alle dichiarazioni d'intenti; ma nel caso in cui il lodevole tentativo non riuscisse, oppure la costituzione della macchina da guerra e dell'analizzatore di desiderio assorbisse troppo tempo ed energia, quali sarebbero gli scenari che si proporrebbero? Guattari non ha esitazione: "Da qui un dilemma molto semplice: o si arriva a un nuovo tipo di strutture che conducono finalmente alla fusione tra il desiderio collettivo e l'organizzazione rivoluzionaria; o si continua sulla strada attuale e, di repressione in repressione, si andrà verso un fascismo in confronto al quale Hitler e Mussolini sembreranno dei buffoni" (ID, 342). Di qui l’elezione del fascismo a nemico primo, l’«avversario strategico», dell’opzione etico-politica deleuziano-guattariana, così com’è evidenziato anche da Foucault nella celebre introduzione all’edizione americana dell’Anti-Edipo (1977): “Rendendo un modesto omaggio a San Francesco di Sales, si potrebbe dire che «L’Anti-Edipo» è un’ Introduzione alla vita non-fascista” (IVNF, 9). Per il filosofo di Poitiers, l’opera anedipica di Deleuze e Guattari ha il pregio di “dare la caccia a tutte le forme di fascismo, da quelle colossali, che ci circondano e ci schiacciano, fino alle minute forme che fanno l’amara tirannia delle nostre vite quotidiane”. Le parole di Foucault sono il prodromo dell’analisi delle formazioni nero-brune in versione di fascismo molare e fascismo molecolare che comparirà nel secondo volume di Capitalismo e schizofrenia, Mille piani, nel piano intitolato 1933 Micropolitica e segmentarietà.


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