domenica 14 febbraio 2016

4.14. Contro la Morte Nera: grande salute e nuova speranza - Parte XLIV - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)

Contro la Morte Nera: grande salute e nuova speranza 




4.14. - Parte XLIV - 

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)


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Tutto ciò che abbiamo scritto è il risultato di una ricerca intorno a «tre intensi cuori», eterogenei eppure vincolati e uniti da un pensiero di sovversione. Il primo cuore è rappresentato dai frammenti postumi riguardanti la volontà di potenza, tra i quali svetta il nucleo più profondo, I forti dell’avvenire - il Nietzsche del 1887-1888 delle Opere (VIII/2); il secondo cuore è disegnato dal saggio sulla cospirazione e la comunità delle singolarità generata dall’Eterno Ritorno - il Klossowski del 1969 di Nietzsche e il Circolo Vizioso; il terzo cuore è impresso nel passaggio accelerazionista presente ne La macchina capitalistica civilizzata in cui compaiono le molteplicità nomadi - i Deleuze e Guattari del 1972 e dell’Anti-Edipo. Tre cuori per tre libri dell’Avversario - un Avversario anomico, anarchico e anticristico - il cui unico compito è “condurre a termine il processo, non arrestarlo, non farlo girare a vuoto, non attribuirgli uno scopo” (AE, 439). Se, per il capitale industriale, o per il post-capitalismo digitale, «non abbiamo ancora visto nulla» perché con le sue deterritorializzazioni ci può sempre «spedire sulla luna» (AE, 37) e conquistare sempre nuovi pianeti o galassie con le sue Morti Nere, per Deleuze e Guattari il nomade non-identitario “non (...) andrà mai abbastanza lontano nella deterritorializzazione, nella decodificazione dei flussi” (AE, 439). Zarathustra, in uno dei suoi più visionari discorsi poetici, Della virtù che dona, esclama: “In verità, la terra diventerà un giorno luogo di guarigione! E già intorno a essa alita un profumo nuovo, che reca salute, - e una nuova speranza!” (Z, 86). Così il capolavoro di Deleuze e Guattari - che, come abbiamo potuto mostrare, non è solo opera autoriale ma anche gemmazione rizomatica - termina con l’elevarsi di un canto mattutino per accelerare il movimento dell’Eterno Ritorno: “La nuova terra, infatti, non è nelle riterritorializzazioni nevrotiche o perverse che arrestano il processo o gli fissano degli scopi, non è indietro né avanti, ma coincide con il compimento del processo della produzione desiderante, il processo che si trova sempre già compiuto in quanto precede e in quanto procede” (AE, 439). Cambiano le fisionomie dei passanti per la «via rivoluzionaria», siano essi i forti dell’avvenire, o le singolarità non omogenee, o le molteplicità nomadi, ma l’imperativo del microcomunismo degli ineguali rimane sempre quello: Accelera e Distruggi. Il Regno inumano è già tra noi.

( FINE )

sabato 13 febbraio 2016

4.13. Verso la nuova terra: smontare e rimontare il meccanismo - 4.13. - Parte XLIII - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)

Verso la nuova terra: smontare e rimontare il meccanismo 



4.13. - Parte XLIII - 

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)

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Conseguentemente, il più grande errore per un rivoluzionario è pensare che la rivoluzione coincida con il proprio Io, con la propria persona, con il proprio nome nella Storia. Infatti coloro che «fanno fallire» la rivoluzione sono coloro che le attribuiscono scopi, che effettuano tagli d’arresto o che le permettono di continuare nel vuoto - “i tradimenti non attendono, ma sono là fin dall’inizio” (AE, 436). Viceversa, i lucidi rivoluzionari che si accorgono che vi sono gruppi i quali s’aggiudicano gli scopi prescelti dal proprio insieme chiuso, a quel punto di consapevolezza o sono costretti a intraprendere «vie di sganciamento» dalla rivoluzione stessa sviandola come processo e articolando in orizzontale la sua acefalìa; oppure sono costretti ad impedire il formarsi di sovranità «cupe» - creando una sorta di nuova antropologia rivoluzionaria - sottraendo ai nuclei sovrani in via di costituzione la stabilità e il punto di equilibrio attraverso la creazione di comunità insorgenti obliquamente a-centrate. Ecco dunque il senso della «sovranità rovesciata» di Deleuze e Guattari prima richiamato. Slittamento/biforcazione o sottrazione/squilibrio, questi sono i due compiti «insurrezionali» che si devono approntare rispetto alla rivoluzione stessa, piuttosto che contrastare resistendo al punto d’equilibrio della sedizione, cioè a un’idea di ritorno cieco. D’altra parte se pensiamo al «sedizioso» come a un individuo al di fuori del proprio Io, lo dobbiamo pensare come un soggetto «vuoto», il cui unico compito è connettersi a processi «rivoluzionari» preesistenti al proprio impegno e al proprio pensiero. Al pari di altri comportamenti coevi, questa connessione potrebbe funzionare come una catalizzazione positiva, accelerante e non inibente. Questa reazione con successiva fusione non porta però il singolo a rimanere inalterato nella sua stabilità, ma viceversa il processo catalitico accelerante lo trasforma radicalmente. Il fattore accelerante della reazione catalitica, quindi, riguarda ambedue gli ambiti: processo collettivo rivoluzionario e processo de-soggettivante individuale - Foucault chiosa - a questo proposito - che bisogna “sbarazzarsi del soggetto costituente, sbarazzarsi del soggetto stesso” (MP, 11). Se il desiderio vive perché non ha scopo, ritornando a Deleuze e Guattari, esso genera altresì effetti di accelerazione del processo rivoluzionario in senso materialista, non ideologico, intendendo qui per ideologia il processo politico guidato da funzionari di partito professionisti della rivoluzione. Non può esserci «creazione» se si ripetono i medesimi riti ideologici delle rivoluzioni precedenti, di cui rimane la stanca forma senza il dinamismo propulsivo. Bisogna impedire la serializzazione dell’insurrezione e la sua forma “mono e macro”. Infatti, come scrive Klossowski, “il senso di ogni grande creazione è di porre fine alle abitudini gregarie che guidano sempre le esistenze verso dei fini esclusivamente utili all’oppressivo regime della mediocrità; (...) la creazione cessa di essere un gioco al margine della realtà, il creatore ormai non ri-produce, bensì produce lui stesso il reale(LCV, [II], 177). Si pongono sulla stessa linea Deleuze e Guattari - “reclamiamo i famosi diritti alla pigrizia, all’improduttività, o alla produzione di sogno e di fantasma, una volta di più siamo ben contenti, dato che non abbiamo cessato di dire il contrario, che cioè la produzione desiderante produce del reale” (AE, 438). Ogni produzione di Reale è in realtà una spaccatura, una breccia sul corpo della società, ma questa rottura avviene solo “per un desiderio senza scopo e senza causa che la tracciava e la faceva propria. Impossibile senza l’ordine delle cause, essa non diventa reale se non grazie a qualcosa d’altro ordine: il Desiderio, il desiderio-deserto, l’investimento di desiderio rivoluzionario. Ed è proprio questo a minare il capitalismo” (AE, 435). Non solo questa produzione di Reale nel deserto della subrealtà della circuitazione monetaria mina il capitalismo, ma fa saltare, e non certo come obiettivo secondario, la teoria della stato o qualsiasi teoria delle istituzioni derivante dalle lotte rivoluzionarie, in quanto la schizoanalisi, così come il pensiero di Nietzsche, Klossowski o Foucault, non propone rigorosamente «nessun programma politico», né per un gruppo, né per un partito, né per le masse, perché tutto ciò sarebbe iniquo e delirante (AE,437). Gli artefici dell’Anti-Edipo, così come gli artificieri della Rizosfera Klossowski, Foucault, Blanchot, Lyotard, sono consapevoli del compito negativo, violento, brutale della schizoanalisi - così come della genealogia, dell’archivio, della filosofia dell’avvenire, della dottrina del Circolo Vizioso: “defamiliarizzare, disedipizzare, decastrare, dafallicizzare, disfare teatro, sogno e fantasma, decodificare, deterritorializzare - un orrendo raschiamento, un’attività malevola” (AE, 439). Tutto questo Destroy, Destroy, significa innanzitutto ed essenzialmente liberare da ogni ostacolo il «processo», accelerare il processo, accelerare e distruggere, dato che il processo da accelerare è, come abbiamo visto, “la produzione desiderante secondo le sue linee di fuga molecolari” (AE, 439). E pazienza se qualcuno, negli anni trascorsi, o più recentemente, ha confuso la «fuga molecolare» con la «resa al molare», o se ha interpretato l’andare «ancora più lontano nel movimento del mercato» con il seguire mansueti e allineati la strategia mercantile di disarticolazione dell’esistente dato che il processo in natura è unico, o se ha pensato che si debba accelerare la corsa del turbocapitalismo affinché si schianti alla prima biforcazione, o - peggio ancora - si scambi il desiderio del consumo di merci e dell’auto-repressione, con il desiderio pulsionale di produzione del Reale, volto a modificare l’esistente e a liberare differenza. Lo si dica qui, una volta per tutte: il processo di decodificazione capitalista produce quantità astratte infinite - la moneta e la sua coppia di sintesi ripetitive e spettrali, il credito e il debito, guidate e sorvegliate dall’Assiomatica d’immanenza di sistema; il processo di decodificazione schizofrenico produce invece corpuscoli di potenza non manifesti, irradianti, incommensurabili - il desiderio, «lavorato» dalle pulsioni stesse, cioè dalle macchine desideranti. Si tratta di differenze di regime, non di natura: infatti i due aspetti del processo si toccano, ma non si confondono. Lo schizonomade rimane pur sempre al limite del capitalismo: ne è la tendenza sviluppata, così come ne è l’angelo sterminatore (AE, 36-38). Ma la produzione desiderante - pulsionale e celata - e la produzione sociale - monetata e astratta, sono le due differenze oggetto d’indagine della psichiatria materialista di Deleuze e Guattari. Non si tratta che di «modi di vita» e del Reale che vogliamo: il Reale Possibile contro il Reale Artificiale.

( SEGUE QUI )


venerdì 12 febbraio 2016

Giacomo De Michele: Lo scompiglio del potere @ Il manifesto, 11 febbraio 2016



Giacomo De Michele

Lo scompiglio del potere

@ Il manifesto, 11 febbraio 2016




Sentieri critici. Una rassegna degli ultimi materiali apparsi su Foucault a partire dall'analisi del rapporto del filosofo francese con il marxismo degli anni Settanta. Un incontro sostanzialmente mancato.

Giacomo De Michele

Il potere a rischio di scompiglio

La pubblicazione degli ultimi corsi e alcuni convegni hanno reso densa la bibliografia critica su Michel Foucault: dai volumi collettivi Usages de Foucault e Marx & Foucault a Le sujet des normes di Macherey, dalla monografia di Chignola Foucault oltre Foucault ai capitoli foucaultiani di Confini e frontiere di Mezzadra e Neilson e di La razón neoliberal. Economía barrocas y pragmática popular di Verónica Gago. Prova a staccarsi da questo panorama il volume curato da Daniel Zamora Critiquer Foucault. Les années 1980 et la tentation néolibérale (edizioni Aden, Paris), che si propone di svelare, attraverso la comprensione degli «anfratti più ambigui della gauche intellettuale», una compromissione con il pensiero neoliberale di Foucault nel suo «ultimo periodo di lavoro», che sarebbe «relativamente poco sottolineata e spesso ignorata», e che sarebbe un significativo indice della deriva della gauche post-68.

Pezzi scelti

In verità, è curiosa la descrizione di un Foucault misconosciuto in un volume del quale sono parte preponderante Michael C. Behrent, Michael S. Christofferson e Jan Rehmann, dei quali le critiche a Foucault sono note da anni: tant’è che buona parte del volume è costituito da testi già pubblicati lo scorso decennio, o riscritture di cose già dette. Vale a dire: testi che precedono non solo il «Foucault greco» (falsificandolo in una sorta di riposo del guerriero conseguente alla sua abdicazione neoliberale), ma anche i corsi sulle istituzioni penali e la società punitiva, dai quali si evince la presenza di Thompson e Porchnev nelle letture del Foucault preteso pre-politico. 

Insomma, un «ultimo Foucault» che inizia e finisce dove piace ai suoi «demistificatori». Cui si aggiunge spesso il mancato uso sistematico dei Dits et écrits, sostituiti da un utilizzo dei testi e delle citazioni secondo il metodo dei morceaux choisis. 

Così del corso sulla biopolitica Behrent fornisce una faziosa genealogia, che elenca l’ingresso in Francia del neoliberalismo senza fornire alcun nesso causale fra le traduzioni di Hayek e Friedman e il lavoro di Foucault: si allude a una concomitanza che si insinua essere non casuale, omettendo di ricordare che quegli stessi anni coincidono con episodi di militanza attiva, o con intense attività seminariali delle quali esiste una testimonianza inoppugnabile in un lontano e prezioso fascicolo del 1978 di «aut aut» (n. 167–168).

Così come viene riscritta la biografia intellettuale di Foucault con scivoloni marchiani, come quello che accade a Christofferson per aver preso per buona senza verifica l’affermazione che «le parole capitalista e proletariato non appaiono in alcuna opera di Foucault prima del 1970» (Eric Paras): affermazione falsa – e molte sorprese avrebbe lo sciatto lettore se cercasse anche bourgeois, o addirittura Marx; e soprattutto che non comprende l’intrinseca politicità del Foucault studioso degli enunciati e dei rapporti fra cose e parole. 

Quanto alla tentazione neoliberale, essa è resa credibile con lo scorporo del corso del 1979 da quello del 1976, nel quale Foucault chiariva l’intenzione di avviare, enunciando delle fondamentali «precauzioni di metodo», a un’analitica del potere tutt’altro che accondiscendente; di scorporare il corso sulla biopolitica dal conseguente sviluppo in direzione dei processi di soggettivazione non solo come assoggettamento, ma altresì come resistenza al potere; e di spacciare la lettura del neoliberalismo – o l’analisi della dottrina fiscale di Stoléru (Zamora) – per un’adesione ideologica.

Ignorando, come sottolinea Laval nel suo contributo a Usages de Foucault, che Foucault ha chiarito in un’intervista inedita recuperata dallo stesso Laval (ma anche in Non au sex du roi, compreso nei Dits et écrits), come la sua «analisi positiva» delle forme di potere, in analogia con le pagine di Marx sulla questione dei furti di legna, non comporta alcun giudizio favorevole agli «aspetti negativi» del liberalismo, ma al contrario la loro comprensione come «effetti negativi di una nuova figura di potere».

Lotte trasversali

È Rehmann a esemplificare, suo malgrado, il livello di questa pretesa critica, laddove, riferendosi a Bread and roses di Ken Loach, osserva che lo spettatore «avrebbe difficoltà a identificare le sottili tecniche di condotta di sé, ma vi troverà molte caratteristiche di un feroce «dispotismo del capitale» che gli studi foucaultiani bypasserebbero (con buona pace di Chakrabarty, che si serve proprio di Foucault per attualizzare quel concetto marxiano). Il fatto è che Foucault non negava (si veda il dibattito con Chomsky del 1971) il carattere classista dello sfruttamento: aggiungeva però che la determinazione economica, da sola, non è sufficiente a individuare i luoghi e le forme in cui si esercita questo «potere di classe».

È Rehmann, per contro, a non riuscire a vedere i processi di soggettivazione presenti nel bel film di Loach: dalle lotte dei migranti nel settore dei servizi che mettono in questione la centralità e le pratiche del sindacalismo tradizionale, alle soggettivazioni di genere e alle pratiche di assoggettamento. Ciò che sfugge a questi critici è che il corso sulla biopolitica non chiude, ma riapre la ricerca foucaultiana: in direzione del rapporto fra liberalismo, biopolitica e regimi di veridizione, e del rapporto fra neoliberalismo, ragione calcolante e società del controllo.

Tutta qui, dunque, la loro capacità interpretativa? Sì e no. Perché se gli strumenti sono davvero rugginosi e spuntati, il vero scopo di questo libro appare piuttosto la costruzione di una grunf-filosofia al servizio di quella politica grunf-grunf che vede nelle forme di lotta e conflitto del tempo presente il tradimento di un programma materialistico in stile-Diamat, del quale si indicano i responsabili in Foucault e nei Nietzscheani di sinistra – così Rehmann nel libro omonimo, non per caso introdotto in Italia da Stefano Azzarà, da anni intento a riscrivere il capitolo su Nietzsche del De Ruggero-Canfora. Quasi che non sia stato Foucault a studiare le lotte trasversali al loro manifestarsi, ma i soggetti di queste lotte ad aver agito sobillati dalla lettura di Foucault, Nietzsche e Deleuze.

Non stupisce allora che sia l’autore del saggio più teoreticamente debole, Jean-Loup Amselle, a costruire (come fece Cacciari nel 1977) una «sinistra post-moderna» a suo uso e consumo nella quale ribollono assieme Negri e Aubry, Agamben e Halloway, Occupy Wall Street e gli Indignados, la cui strategia riformista consisterebbe nella svendita all’austerità e all’abbattimento dei livelli di vita in cambio di qualche «leccalecca» come il matrimonio per le coppie omosessuali.

Nondimeno, questi autori sfiorano una questione aperta: quella del mancato incrocio tra Foucault e il marxismo. Che non avvenne perché in Francia il marxismo «ufficiale» reagì chiudendosi a testuggine verso quegli intellettuali che ne mettevano in discussione i presupposti ortodossi, a partire dalla centralità della nozione di soggetto. La stessa polemica contro lo strutturalismo fu caratterizzata dalla creazione di un oggetto polemico, nel quale erano unificati Lacan, Althusser, Lévi-Strauss e Foucault, in reazione al tentativo di rinnovamento del pensiero di Marx. In altri termini, quel marxismo, costretto a «mollare la presa» di una critica che non poteva più tenere al guinzaglio, difendeva con ottusa protervia la Fortezza Bastiani da quel «fertile sconvolgimento dell’orizzonte scientifico dei rivoluzionari» in atto — così Negri nel 1978 — al quale anche Foucault contribuiva.

Il potenziale dirompente

Diversa era la situazione in Italia, dove un altro marxismo aveva cominciato a dialogare con Foucault – attraverso la rivista «aut aut», ma anche in quelle pagine del Marx oltre Marx dove Negri descriveva la circolazione e distribuzione delle merci come distribuzione analitica delle funzioni di potere, concatenando di fatto un certo Marx col Foucault dell’analitica del potere. Come sia stata interrotta quella ricerca teorico-pratica, è noto. Ma quei fili erano destinati a riallacciarsi, e di fatto cominciano ad esserlo: lo testimoniano i testi già citati, e in particolare quelli del colloquio Marx & Foucault curati da Laval, Paltrinieri e Taylan. Dove al Foucault lettore di Marx, con saggi, in particolare quelli di Chignola e Laval, che praticano già un uso marxiano di Foucault, succedono tentativi, spesso riusciti, di avviare una rilettura di Marx a partire da Foucault (Negri, Sibertin-Blanc, Dardot, Giardini).

Non si tratta di elevare la foucaultiana diagnostica del presente a un «insieme di consegne che il filosofo-maestro di verità donerebbe ai suoi discepoli», come sottolineano nel proprio intervento — che conclude il volume — Nicoli e Paltrinieri, ma di usare la critica per mostrare «il potenziale dirompente e le trappole che minacciano la pratica delle lotte», senza reintrodurre la figura dell’intellettuale che pretende di sottomettere le lotte alle ingiunzioni di verità: per quello, i grunf-grunf bastano e avanzano.


4.12. Desiderio senza scopo - Parte XLII Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)

Desiderio senza scopo 


4.12. - Parte XLII 

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)


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Come in molti, forse, hanno notato, il celebre passaggio dell’accelerazione del processo e della via rivoluzionaria oltre ad essere incastonato nell’ultima parte del paragrafo La macchina capitalistica civilizzata (AE, 271-272), ritorna con forza nelle pagine dell’Introduzione alla schizoanalisi, capitolo conclusivo dell’Anti-Edipo, per ingemmare la pagina finale dell’opera stessa.
Il focus è sempre sul rapporto conflittuale tra desiderio, formazioni di sovranità e sulla possibilità di un rovesciamento di sovranità da parte della potenza della singolarità. Scrivono Deleuze e Guattari: “Solo il desiderio infatti vive perché non ha scopo. La produzione desiderante molecolare ritrova la sua libertà d’asservire a sua volta l’insieme molare in una firma di potenza o di sovranità rovesciata. Ecco perché Klossowski, che ha portato più lontano di tutti la teoria dei due poli d’investimento, ma sempre nella categoria di un’utopia attiva, può scrivere: “Ogni formazione sovrana dovrebbe così prevedere il momento voluto della sua disintegrazione… Nessuna formazione di sovranità, per quanto si cristallizzi, sopporterà mai questa presa di coscienza: poiché, non appena diventa conscia negli individui che la compongono, questi la decompongono” (AE, 422-423; LCV, [II], 162). Che cosa significa «il desiderio vive perché non ha scopo»? Vuol dire che il desiderio è privo di scopo e di senso proprio perché è una potenza naturale  sempre risorgente, un’energetica indomita mai acquietata dal raggiungimento di un obiettivo e dunque mai assoggettata dal fine e dal pervenire a uno stato di equilibrio infinito. In precedenza abbiamo ricordato come la pulsione primordiale dell’individuo è, per Deleuze e Guattari, il «desiderio» e, per Nietzsche, la «volontà di potenza» (CO, 95). Per il pensatore tedesco “appena agiamo praticamente, siamo costretti ad agire contro ciò che sappiamo e a metterci al servizio dei giudizi della sensazione” (O, fr. 11 [123], vol. V, tomo 2, pg. 452). Klossowski, sulla stessa linea, rincara: “la natura non ha nessuno scopo e realizza qualcosa. Noi abbiamo uno «scopo» e otteniamo qualcosa di diverso da questo scopo” (LCV, [II] 169). Se, grazie la sua beffarda lucidità, Nietzsche può affermare che “se tutta la storia delle vicende umane non ha nessun fine, bisogna che ve ne inseriamo uno noi” (O, fr. 6 [9], vol. VIII, tomo 1, pg. 224), Klossowski allora può chiosare “Ciò vuol dire: noi conosciamo il nostro meccanismo; bisogna smontarlo; poiché questo vuol dire poter disporre delle sue parti per ricostruirlo; quindi guidare la «natura» verso il nostro «scopo». Ma ogni volta che si ragiona così, si maschera di nuovo l’impulso che ci guida: certo, si ottiene qualcosa che si interpreterà come voluto, ma sarà stata la «natura», senza volere nulla, a realizzarsi per altri «fini» (LCV, [II], 169). Sarà quindi l’azione mascherata degli individui a decomporre le istituzioni delle formazioni di sovranità non appena la coscienza dell’assurdità della mancanza di ogni fine e di ogni senso della società in cui vivono balzerà ai loro occhi. Ma non sarà che la potenza caotica della Natura ad agire tramite loro. Emerge prepotente, in questa “stazione del pensiero” lo spinozismo radicale della Rizosfera, o come spiega Deleuze, uno «spinozismo dell’inconscio».

giovedì 11 febbraio 2016

4.11. Come sfuggire all’assiomatica e far impazzire la macchina moderna immanente? - 4.11. - Parte XLI Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)


Come sfuggire all’assiomatica e far impazzire la macchina moderna immanente?




4.11. - Parte XLI

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)

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Ecco, dunque, ritornare, sotto il segno del contrasto a Edipo, l’intreccio di moneta e rivoluzione. Se, nell’empirico odierno, le nostre società sono dominate dall’ottimismo economico figlio del positivismo ottocentesco così riccamente analizzato a livello sociologico produttivo da Marx e a livello pulsionale energetico da Nietzsche, e dall’evoluzione processuale cibernetica dei circuiti monetari e creditizi descritta in modo lungimirante da Deleuze e Guattari, quali strategie adottare per sfuggire all’assiomatica mercantile e far impazzire la macchina moderna immanente? Quale rapporto tra moneta e rivoluzione? Passare ancora dal piano organizzativo minuzioso e burocratico figlio della teoria totalizzante “chiavi in mano” che tutto spiega e prevede, secondo rapporti fissi con le forme della Terra e dell’insiemistica umana, oppure scegliere il piano di consistenza pulsionale corrispondente all’energetica oscillante del desiderio, sempre produttiva del reale e dello squilibrio? Tra organizzazione-amministrazione, e caos-creazione, quali livelli di sintesi e innovazione per «cercare e distruggere» e poi ricostruire? Costruire soggetti e identità rivoluzionarie nelle determinazioni di classe o economiche, oppure de-costruire la forma, trovando «vuoto» il soggetto e aumentando la velocità di attivazione del «processo» rivoluzionario dell’irregolare inoperoso, del gruppo non scambiabile e della comunità di singolarità? Eppure, in tutt’altra guisa, come è sembrato paventare Ewald, se un «fatto» ci è stato consegnato dallo sviluppo storico degli anni ‘70 del Novecento in tutta la sua tragica evidenza, questo è stato la «sparizione» della rivoluzione dall’orizzonte sociale, cioè l’inabissarsi dell’insurrezione quale magnete dell’agire politico dall’Illuminismo in poi. Siamo alla Morte della Rivoluzione come evento palingenetico e qualificata rottura creatrice, madre della modernità politica - come sembra paventare il Foucault post-1978 e post-rizosferico, o siamo al divenire rivoluzionario perpetuo come condizione umana ai tempi della post-rivoluzione e delle neo-società di controllo post-capitaliste - come pensano Deleuze e Guattari nel deserto multistrato di Mille Piani? Qualcosa dopo il 1978 è cambiato, i rivoluzionari spettralizzano come beautiful losers, come se la sedizione e il rovescio del desiderio sul tappeto del Reale fossero speculari al declino dell’industria e alla corrosione del capitale storicamente fissato. La prassi produttiva dell’industria e il concetto di rivoluzione-catarsi decadono insieme nell’Occidente, in un mesto e lento crepuscolo. A noi estensori del saggio, l’intreccio «moneta e rivoluzione» posto da Klossowski e Deleuze e da tutta la rizomatica anedipica appare ancora d’estrema attualità, non più nella vulgata ponentina, ma viceversa su scala globale, l’unica oggi possibile. Nella più feroce contemporaneità non si smette di generare moneta e liquidità quanto non si desiste dal divenire rivoluzionari e patologicamente sediziosi, in ogni singolo scenario planetario. Gli avvenimenti quotidiani non mostrano altro. Come ha lucidamente scritto Foucault, il triangolo di «desiderio, valore, simulacro» ci domina ancora, e non riusciamo a scalfirlo né a comprenderlo nella sua terribile efficacia geometrica. Come sfuggire all’assiomatica e far impazzire la macchina moderna immanente: la domanda dell’Anti-Edipo è ancora nostra contemporanea, oggi come ieri. Un parte della risposta, nel quadro dell’evoluzione del rapporto tra tecnologia e liberazione, può certamente nascere e crescere dal confluire di tre specifiche aree della nostra contemporaneità: il cypherpunk, la tecnologia blockchain, e il movimento eterarchico P2P. La nuova alleanza del peer to peer, una evoluzione digitale della logica reticolare anarchica e auto-organizzata della filosofia autonomista della disintermediazione esistenzialista punk, il DIY, il do-it-yourself già post-capitalista nella sua quintessenza. Il quarto pilastro che dovrà accompagnare le tre aree precedentemente indicate, potrà essere la filosofia della rizosfera, o dell’avvenire. La «filosofia dell’avvenire», per ritornare gioiosa e pericolosa, deve abbandonare il ruolo di complicità che si è ritagliata nell’industria del sapere e dell’episteme, e ritornare ad essere viandante, peripatetica, informale - una «gypsy scholarship». Deve sperimentare, fallire, creare: studiare, smontare e rimontare con estrema lucidità, anche se stessa. La gypsy scholarship intesa come pedagogia della libertà e della rivolta, non può però diventare scienza, ingoiata dalle istituzioni: è come la raffica di vento dell’Uomo di Kiev, oppure il bagliore di un momento lungo quasi cent’anni.

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