Desiderio senza scopo
4.12. - Parte XLII
Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)
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Come in molti, forse, hanno notato, il celebre passaggio dell’accelerazione del processo e della via rivoluzionaria oltre ad essere incastonato nell’ultima parte del paragrafo La macchina capitalistica civilizzata (AE, 271-272), ritorna con forza nelle pagine dell’Introduzione alla schizoanalisi, capitolo conclusivo dell’Anti-Edipo, per ingemmare la pagina finale dell’opera stessa.
Il focus è sempre sul rapporto conflittuale tra desiderio, formazioni di sovranità e sulla possibilità di un rovesciamento di sovranità da parte della potenza della singolarità. Scrivono Deleuze e Guattari: “Solo il desiderio infatti vive perché non ha scopo. La produzione desiderante molecolare ritrova la sua libertà d’asservire a sua volta l’insieme molare in una firma di potenza o di sovranità rovesciata. Ecco perché Klossowski, che ha portato più lontano di tutti la teoria dei due poli d’investimento, ma sempre nella categoria di un’utopia attiva, può scrivere: “Ogni formazione sovrana dovrebbe così prevedere il momento voluto della sua disintegrazione… Nessuna formazione di sovranità, per quanto si cristallizzi, sopporterà mai questa presa di coscienza: poiché, non appena diventa conscia negli individui che la compongono, questi la decompongono” (AE, 422-423; LCV, [II], 162). Che cosa significa «il desiderio vive perché non ha scopo»? Vuol dire che il desiderio è privo di scopo e di senso proprio perché è una potenza naturale sempre risorgente, un’energetica indomita mai acquietata dal raggiungimento di un obiettivo e dunque mai assoggettata dal fine e dal pervenire a uno stato di equilibrio infinito. In precedenza abbiamo ricordato come la pulsione primordiale dell’individuo è, per Deleuze e Guattari, il «desiderio» e, per Nietzsche, la «volontà di potenza» (CO, 95). Per il pensatore tedesco “appena agiamo praticamente, siamo costretti ad agire contro ciò che sappiamo e a metterci al servizio dei giudizi della sensazione” (O, fr. 11 [123], vol. V, tomo 2, pg. 452). Klossowski, sulla stessa linea, rincara: “la natura non ha nessuno scopo e realizza qualcosa. Noi abbiamo uno «scopo» e otteniamo qualcosa di diverso da questo scopo” (LCV, [II] 169). Se, grazie la sua beffarda lucidità, Nietzsche può affermare che “se tutta la storia delle vicende umane non ha nessun fine, bisogna che ve ne inseriamo uno noi” (O, fr. 6 [9], vol. VIII, tomo 1, pg. 224), Klossowski allora può chiosare “Ciò vuol dire: noi conosciamo il nostro meccanismo; bisogna smontarlo; poiché questo vuol dire poter disporre delle sue parti per ricostruirlo; quindi guidare la «natura» verso il nostro «scopo». Ma ogni volta che si ragiona così, si maschera di nuovo l’impulso che ci guida: certo, si ottiene qualcosa che si interpreterà come voluto, ma sarà stata la «natura», senza volere nulla, a realizzarsi per altri «fini» (LCV, [II], 169). Sarà quindi l’azione mascherata degli individui a decomporre le istituzioni delle formazioni di sovranità non appena la coscienza dell’assurdità della mancanza di ogni fine e di ogni senso della società in cui vivono balzerà ai loro occhi. Ma non sarà che la potenza caotica della Natura ad agire tramite loro. Emerge prepotente, in questa “stazione del pensiero” lo spinozismo radicale della Rizosfera, o come spiega Deleuze, uno «spinozismo dell’inconscio».
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