La Società punitiva
Feltrinelli, 2016
Per gentile concessione dell’editore, ne proponiamo qui alcuni estratti
Il controllo del tempo è uno dei punti fondamentali di questo sovra-potere che il capitalismo organizza attraverso il sistema statale. Anche al di fuori delle istituzioni di sequestro concentrato, collegio, fabbrica-prigione, casa di correzione – dove l’impiego del tempo costituisce un elemento essenziale […] – il controllo, la gestione, l’organizzazione della vita degli individui [rappresentano] una delle cose fondamentali istituite all’inizio del XIX secolo. Si e dovuto controllare il ritmo con cui la gente voleva lavorare. […] Si sono dovuti mettere al bando la festa, l’assenteismo, il gioco e soprattutto la lotteria […]. Si è dovuto insegnare all’operaio quella qualità chiamata previdenza, renderlo responsabile di se stesso fino alla morte, mettendogli a disposizione delle casse di risparmio. Ora, tutto questo, che nella letteratura dell’epoca è presentato come apprendimento di qualità morali, significa in definitiva l’integrazione della vita operaia al tempo di produzione, da una parte, e al tempo del risparmio, dall’altra. Il tempo della vita, che poteva essere scandito dallo svago, dal piacere, dalla fortuna, dalla festa, ha dovuto essere omogeneizzato per essere integrato a un tempo che non è più quello dell’esistenza degli individui, dei loro piaceri, dei loro desideri e del loro corpo, ma quello della continuità della produzione, del profitto. Si è dovuto gestire e assoggettare il tempo dell’esistenza degli uomini a questo sistema temporale del ciclo di produzione. […]
All’apparenza, queste istituzioni sono destinate a essere monofunzionali: il collegio istruisce, la fabbrica produce, la prigione applica una pena, l’ospedale cura; e in linea di principio non si capisce perché il collegio dovrebbe chiedere al bambino qualcosa di diverso dall’apprendere, l’ospedale qualcosa di diverso dal guarire ecc. Tuttavia esiste un supplemento di costrizione, indispensabile all’esistenza di queste istituzioni. Il discorso che attraversa il regolamento di una manifattura non e mai: «Lavorate e, fuori dal lavoro, fate quel che volete»; il discorso della scuola non consiste mai nel dire: «Imparate a leggere, a scrivere, a fare i calcoli, ma se preferite potete anche non lavarvi». In realtà queste istituzioni si fanno carico del controllo diretto o indiretto dell’esistenza. […] Si potrebbe dire che queste istituzioni di sequestro siano «in-discrete» nella misura in cui si occupano di ciò che non le [riguarda] direttamente. […]. Non è certo la prima volta che il comportamento individuale entra nel discorso, e non è stato necessario aspettare queste istituzioni di sequestro perché il quotidiano, l’esistenza nella sua intimità, sia effettivamente ripreso all’interno di un sistema di discorsività. Dopotutto, la confessione cattolica è una delle maniere di farlo entrare in un tipo di discorsività. Ma essa è caratterizzata dal fatto che è il soggetto stesso a parlare; non lascia mai nessun archivio; e la discorsività a cui la confessione dà luogo è inserita nel quadro di qualcosa come una casistica. Ora, ciò che vediamo comparire nel XIX secolo è tutt’altro: è una discorsività che riprende il quotidiano, l’individuale, l’intimo, il corporeo, il sessuale in un certo spazio definito da istanze di sequestro. […] Mentre la confessione verte sempre su un caso – cosa è successo in questa o quella circostanza –, la discorsività che nasce all’interno di queste tecniche generali di sequestro seguirà l’individuo dalla nascita alla morte e sarà il discorso della sua intera esistenza. […].
In breve, [la tesi prevalente era che] alla crescita del capitalismo corrispondeva tutta una serie di movimenti di sedizione popolare, ai quali il potere della borghesia avrebbe risposto con un nuovo sistema giudiziario e penitenziario. Ma non sono sicuro di aver impiegato a ragione il termine «plebe sediziosa». Mi sembra infatti che il meccanismo che ha portato alla formazione di questo sistema punitivo è in un certo senso più profondo e più grande di quello del semplice controllo della plebe sediziosa. Ciò che la borghesia ha chiesto all’apparato di Stato di controllare tramite il sistema penitenziario è qualcosa di cui la sedizione rappresenta solo un caso particolare, è un fenomeno più profondo e più costante: l’illegalismo popolare. Mi sembra che, fino alla fine del XVIII secolo, un certo illegalismo popolare non solo era compatibile con, ma utile allo sviluppo dell’economia borghese; finché è arrivato un momento in cui questo illegalismo, che funzionava in connessione con lo sviluppo dell’economia, è diventato incompatibile con esso. […] In fondo, la borghesia, appoggiandosi sia su un illegalismo dei privilegiati, di cui tentava di farsi accordare i privilegi, sia su un illegalismo popolare, che costituiva, per cosi dire, la sua avanguardia di lotta, e riuscita a sovvertire le forme giuridiche […]. Guardando le cose da un punto più elevato, si potrebbe dire questo: per controllare l’apparato giuridico dello Stato, dal Medioevo in poi la borghesia ha inventato tre mezzi. In primo luogo, appropriarsi dell’apparato giudiziario: vale a dire la venalità delle cariche. In secondo luogo, introdursi nell’apparato di Stato e amministrarlo. In terzo luogo, far praticare l’illegalismo: lasciare che lo praticassero gli altri strati sociali, in modo da poterlo praticare a sua volta in un sistema funzionale degli illegalismi concertati e, grazie a ciò, sovvertire quella legalità che aveva potuto favorirla ma che aveva assunto un peso eccessivo. […] Quando prenderà il potere, la borghesia metterà mano a questo apparato, amalgamato al sistema generale degli illegalismi, e lo incaricherà di far applicare la sua legalità. Cosi, questo elemento del penitenziario, che a mio avviso funzionava nella rete del non-legale, sarà preso in carico e integrato al sistema della giustizia, esattamente nel momento in cui la borghesia non potrà più tollerare l’illegalismo popolare. […]
Ciò che ha trasformato la penalità alla svolta del secolo è l’adeguamento del sistema giudiziario a un meccanismo di sorveglianza e di controllo; è la loro integrazione comune in un apparato di Stato centralizzato; ma è anche la creazione e lo sviluppo di tutta una serie di istituzioni (para-penali e a volte non penali) che dovevano servire da punto d’appoggio, da avamposto o da forme ridotte all’apparato principale. […] In un passo delle Lezioni sulle prigioni Julius opponeva le civiltà dello spettacolo (civiltà del sacrificio e del rituale in cui si offre a tutti lo spettacolo di un evento unico e in cui la forma architettonica principale è il teatro) alle civiltà della sorveglianza (in cui bisogna assicurare a qualcuno un controllo ininterrotto sul maggior numero di persone; forma architettonica privilegiata: la prigione). E aggiungeva che la società europea che aveva sostituito lo Stato alla religione offriva il primo esempio di una civiltà della sorveglianza. Il XIX secolo ha fondato l’era del panoptismo. […]
Si è sempre abituati a parlare della «stupidità» della borghesia, ma mi chiedo se il tema della stupidità borghese non sia un tema per intellettuali: quelli che si immaginano che i commercianti siano ottusi, gli uomini con i soldi siano cocciuti e gli uomini di potere ciechi. Contrariamente a questa credenza, invece, la borghesia è di un’intelligenza notevole. La lucidità e l’intelligenza di questa classe che ha conquistato e conservato il potere nelle condizioni che sappiamo producono certo degli effetti di stupidità e di accecamento, ma dove se non appunto nella massa degli intellettuali? Gli intellettuali si possono definire come coloro su cui l’intelligenza della borghesia produce un effetto di accecamento e di stupidità. (Continua)
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