martedì 8 ottobre 2013

Michel Foucault, Il bel rischio - Cronopio, Ita, 2013




“Scoprire” un Foucault inedito, la faccia segreta, notturna del suo lavoro: “… se mi sono prestato con piacere a questo genere d'interviste, è stato proprio per liberarmi del mio linguaggio abituale, per cercare di scioglierne i fili e presentarlo così come non si presenta di solito” quasi un ‘rovescio del ricamo'”. Questo scambio di domande\risposte è quasi un ‘gioco sottile' che indaga lo stesso genere dell'intervista: “è il bel rischio, il rischio divertente di queste interviste…”, che cerca di sollecitare la trama segreta del rapporto di Foucault con la scrittura, rivelando ciò che la scrittura è stata nel corso della sua vita. In poco più di 80 pagine si ricostruisce una vera e propria
modalità di esperienza del linguaggio – “In fin dei conti l'unica patria reale, l'unico suolo sul quale possiamo camminare, l'unica casa in cui possiamo fermarci e trovare riparo è appunto il linguaggio”.
“Scrivere, in fondo, è tentare di far defluire, attraverso i canali misteriosi della penna e della scrittura, tutta la sostanza, non soltanto dell'esistenza ma anche del corpo, in  quelle tracce minuscole che si depongono sulla carta. Non essere altro, in fatto di vita, che quegli scarabocchi, morti e ciarlieri a un tempo, che si depongono sulla carta: è questo che si sogna quando si scrive. Ma a questa riduzione della vita brulicante nel brulichio immobile delle lettere non si arriva mai”.
“Non sono quindi uno scrittore. Mi metto decisamente fra gli ‘scriventi', quelli la cui scrittura è transitiva. Voglio dire quelli la cui scrittura è destinata a indicare, mostrare, manifestare fuori di se stessa qualcosa che, senza di essa, sarebbe rimasto, se non nascosto, almeno invisibile. è forse là che per me esiste nonostante tutto, un incanto della scrittura”. 
Michel Foucault

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