martedì 26 novembre 2013

Foucault à l'épreuve des études postcoloniales @ Université Paris-Est Créteil, vendredi 13 décembre 2013


Bonjour,

La prochaine séance du séminaire Actualités Foucault aura lieu le vendredi 13 décembre 2013, de 14h à 17h, à l'Université Paris-Est Créteil, bâtiment i, 2e étage, salle 233 (métro ligne 8, Créteil Université). 

Le thème de la séance sera « Foucault à l'épreuve des études postcoloniales », avec la participation de Alain Brossat, Orazio Irrera et Martina Tazzioli.

Au plaisir de vous rencontrer bientôt,

Cordialement,


Frédéric Gros, Daniele Lorenzini, Ariane Revel, Arianna Sforzini

lunedì 25 novembre 2013

Lapo Berti: intervista su Masse, potere e post-democrazia nel XXI secolo @ Obsolete Capitalism blog

    Sul micro-fascismo
    Obsolete Capitalism Partiamo dall’analisi di Wu Ming, esposta nel breve saggio per la London Review of Books intitolato “Yet another right-wing cult coming from Italy”, che legge il M5S e il fenomeno Grillo come un nuovo movimento autoritario di destra.  Come è possibile che il desiderio di cambiamento di buona parte del corpo elettorale sia stato vanificato e le masse abbiano di nuovo anelato - ancora una volta - la propria repressione ? Siamo fermi nuovamente all’affermazione di WilhelmReich: sì, le masse hanno desiderato, in un determinato momento storico, il fascismo. Le masse non sono state ingannate, hanno capito molto bene il pericolo autoritario, ma l’hanno votato lo stesso. E il pensiero doppiamente preoccupante è il seguente: i due movimenti populisti autoritari, M5S e PdL, sommati insieme hanno più del 50% dell’elettorato italiano. Le tossine dell’autoritarismo e del micro-fascismo perché e quanto sono presenti nella società italiana contemporanea ?
Lapo Berti: Democrazia vuota 
Da lungo tempo abbiamo smesso di vivere in regimi politici che possano definirsi autenticamente democratici in base alle modalità con cui i cittadini sono posti in grado di eleggere i loro rappresentanti e controllarne l'operato. Questo significa che ai cittadini è ormai, di fatto, negata la possibilità di essere protagonisti dei processi attraverso cui si prendono le decisioni rilevanti per la collettività. In taluni casi estremi, come quello italiano, ai cittadini è sottratto anche il potere formale di scegliere i propri rappresentanti, che dovrebbe essere il tratto distintivo della democrazia rappresentativa ovvero un valore politico inalienabile. Nella maggior parte dei casi, invece, tale potere è formalmente rispettato, ma il potere effettivo è stabilmente trasferito in altre mani e ai cittadini rimane aperta esclusivamente la possibilità di partecipare a quella messa in scena dell'immaginario democratico che sono le elezioni politiche, in cui, di fatto, si celebra il contrario di quello che comunemente si ritiene, ovvero la rinuncia, per un periodo di almeno cinque anni, a esercitare qualsiasi forma di controllo sugli obiettivi perseguiti dagli eletti e sui modi di realizzarli. Probabilmente, nessun regime democratico è stato mai effettivo, realizzando un efficace "potere del popolo", se non in fasi eccezionali e allo stato nascente. Si può tuttavia affermare che, in certi periodi, che variano da paese a paese, la delega agli eletti è stata esercitata con modalità che rappresentavano un compromesso accettabile rispetto a un effettivo esercizio del potere popolare che fosse in grado di determinare con sufficiente precisione gli obiettivi dell'azione pubblica e l'esercizio del potere di governo. Non è più così in nessuno dei paesi che si definiscono democratici.
Il ritorno delle élite 
Ormai da lungo tempo, non solo in Italia, il potere di governo è stato stabilmente requisito da gruppi elitari che derivano la loro forza dal possesso di un potere dominante in ambito economico, politico e sociale. Tali gruppi, generalmente interconnessi e caratterizzati da una considerevole scambiabilità delle posizioni che contribuisce alla loro stabilità nel tempo, formano un'oligarchia che ha nella finanza il proprio strumento fondamentale nonché il proprio legame fondante.
Per capire fino in fondo la portata di questo processo, è necessario rendersi conto che la globalizzazione non è il risultato spontaneo della dinamica dei mercati, come spesso si sostiene, ma è l'approdo consapevolmente perseguito dalle élite economiche mondiali per sottrarsi alle possibili interferenze della politica, ai vincoli e ai limiti posti dalle giurisdizioni nazionali, in cui si esprime il vecchio e obsoleto potere degli stati. La globalizzazione è, prima di tutto, la creazione di uno spazio esente dalla politica e dal diritto, in cui l'oligarchia finanziaria può liberamente dispiegare i suoi disegni di ricchezza e di potere. La globalizzazione è il risultato estremo di una guerra che si è combattuta lungo tutto il novecento tra chi voleva costruire un controllo della politica, in nome e per conto della collettività, sul mondo dell'economia e della finanza e le élite economiche che perseguivano con energia e pervicacia il ritorno al mondo pre-crisi del laissez-faire. La cesura era stata rappresentata dal New Deal rooseveltiano e dal trentennio del compromesso socialdemocratico, seguito alla seconda guerra mondiale e ispirato alla dottrina keynesiana. Il tentativo era quello di rendere possibile la convivenza fra democrazia e capitalismo, facendo dello stato il regolatore di ultima istanza dei conflitti sociali attraverso lo strumento del welfare pubblico. Fin dall'inizio, questa svolta, imposta dal trauma della Grande crisi, era stata percepita, almeno da una parte delle élite capitalistiche mondiali, come una deriva pericolosa, in grado di mettere a repentaglio la sopravvivenza del sistema capitalistico. E fin da subito erano stati posti in essere progetti di revanche, concretizzatisi con il trentennio neo-liberale e culminati nel grandioso progetto della globalizzazione.
Questo è il risultato, oggi confermatosi a livello globale con la formazione di un'oligarchia globale occulta, di un lungo processo che ha visto la formazione e l'affermazione del potere delle élite in tutti gli ambiti della vita sociale. Questo processo, di cui non mancano i segni lungo tutto il periodo che ha visto diffondersi la democrazia in tutto il mondo, ha avuto inizio in concomitanza con la prima grande ondata di democratizzazione che si è avuta come reazione alla crisi del '29, nella misura in cui questa fu percepita come la chiara manifestazione dei limiti intrinseci al capitalismo del laissez-faire. Dal momento in cui fu chiaro che i vertici del capitalismo mondiale, a partire da quelli americani, erano sotto attacco, hanno preso forma iniziative volte a realizzare una linea di resistenza contro le "eccessive" pretese della democrazia ovvero contro il progetto di porre sotto controllo l'iniziativa capitalistica, soprattutto quella incarnata nelle grandi organizzazioni del capitalismo industriale e, soprattutto, finanziario.
In tutto l'occidente i partiti politici sono stati risucchiati dal processo di penetrazione sociale delle élite e si sono trasformati in gangli del potere elitario, trasformandosi essi stessi in potenti élite, depositarie del potere conferito, nelle democrazie rappresentative, dal voto dei cittadini, e abilitate a esercitare il potere di governo per conto e nell'interesse delle élite capitalistiche in cambio di una partecipazione al potere economico e al godimento della ricchezza che esso maneggia.
La degenerazione dei sistemi democratici è stata prodotta e sospinta dall'assoggettamento dei gruppi dirigenti dei partiti alle strategie delle élite economiche. I partiti, anche quelli popolari, di massa, si sono rivelati permeabili, attraverso i loro gruppi dirigenti, al potere economico e finanziario. La corruzione si è installata stabilmente nel panorama politico, quale strumento di perversione dei meccanismi democratici in favore degli interessi delle élite dominanti.
La risposta dei cittadini ha assunto varie forme. La principale è stata quella di un allontanamento dal voto, sempre più percepito come un atto inutile se non addirittura ridicolo di fronte all'impermeabilità di un mondo politico divenuto del tutto autoreferenziale. Si tende, generalmente, a considerare lo sciopero del voto come un allontanamento dalla politica. Non è detto. Può essere anche il prodotto di una consapevolezza politica superiore alla media che più rapidamente e più nettamente sfocia nello scetticismo. Per il funzionamento della democrazia il risultato non cambia. Quando si comincia a votare con i piedi, perché non c'è più la speranza di far udire la propria voce, vuol dire che qualcosa si è irrimediabilmente rotto nel meccanismo della rappresentanza. E quando, com'è nel caso delle ultime elezioni italiane, l'astensione sfiora la metà degli aventi diritto vuol dire che la rottura è grave e che è assai improbabile che sia reversibile nel breve periodo.
La seconda reazione è ancora più insidiosa, perché tende a trasformare e addirittura a snaturare l'intero ethos democratico. È la risposta populista, che assume sempre connotati conservatori e antidemocratici, se non reazionari, anche quando le sue radici si allungano nel terreno della sinistra. Il populismo diventa una prospettiva praticabile quando si crea un vuoto incolmabile nella relazione fra le aspettative, i bisogni, dei cittadini e la vita politica che trova espressione nell'astensione dal voto, nella rinuncia a partecipare a quello che viene ormai percepito come un rituale vuoto: la delega ai rappresentanti del popolo. Il populismo si fa strada allorché i cittadini perdono la speranza di poter essere protagonisti della vita democratica e si rifugiano nella ricerca di un surrogato che rappresenti le loro aspirazioni e che generalmente assume le sembianze di una figura salvifica,di un personaggio che s'impone per le sue capacità di comunicazione, esaltate o addirittura costruite dai mass media.
In Italia abbiamo oggi due populismi, molto diversi in superficie, ma sostanzialmente omogenei dal punto di vista delle pulsioni che li alimentano e delle conseguenze sociali e politiche che provocano. Sono entrambi figli della crisi della politica novecentesca, fondata sulla capacità dei grandi partiti di massa di rispecchiare e rappresentare la composizione sociale generata dal fordismo. I partiti tradizionali si sono trasformati in senso oligarchico, sono diventati autoreferenziali, rivolti alla riproduzione di una classe dirigente inamovibile. Quel più conta, gli interessi dei diversi gruppi sociali sono passati in secondo piano, sostituiti da una fitta rete di rapporti clientelari. È venuta meno, in larghi strati della popolazione, la fiducia che dai partiti possa venire la soluzione dei problemi sociali. I riti della politica politicante sono divenuti per i più un gioco astruso. Si è andati alla ricerca di scorciatoie, di soluzioni dirette e semplificate. Era pronto il terreno per l'avvento dei taumaturghi, con la finzione di un rapporto diretto con il popolo e con la disponibilità a farsi dettare l'agenda da quello che si muove nella sua pancia, attraverso il gioco dei sondaggi o l'illusione della democrazia via web. Sotto questo profilo, Grillo e Berlusconi sono identici. Paradossalmente, ambedue, con il trucco più antico del mondo, hanno intercettato, in mezzo a paure e rabbie primordiali, una volontà effettiva di cambiamento, di modernizzazione del paese, ma l'hanno piegata a fini di affermazione personale. Di impulsi originariamente animati da uno spirito riformatore hanno fatto gli strumenti di un'operazione di conservazione, intrappolandoli nel recinto dei populismi e nell'attesa messianica dell'uomo solo che salva e risolve.
Una qualche spinta verso esiti populistici è probabilmente insita nel tipo di società che sono state forgiate dai processi di globalizzazione. Il disagio che afferra milioni di persone nel momento in cui percepiscono che la loro vita non dipende più soltanto da relazioni tutto sommato di vicinato, ma da quello che fanno e decidono milioni di sconosciuti sparsi nei luoghi più diversi e lontani del pianeta, l'angoscia che ne deriva rispetto a un destino di cui non ci sente più padroni perché sono venuti meno gli strumenti con i quali pensavamo/ci illudevamo di controllarlo e che appare minacciato da forze esterne e oscure, la sensazione d'impotenza che si prova di fronte a un mondo fattosi troppo complesso: tutte queste pulsioni confluiscono in una generalizzata quanto irriflessa richiesta di semplificazione. E qui, di nuovo, ricompare il populismo, con la sua offerta di allettanti scorciatoie, con l'illusione di poter delegare a qualcuno la soluzione di tutti i problemi in cambio di un'adesione viscerale, fideistica, che fa a meno del ragionamento politico e dell'impegno consapevole degli individui. In questo senso, i populismi sono sempre di destra, antidemocratici. (...)


Lapo Berti, italiano, economista, è stato dal marzo 1993 al luglio 2010 dirigente presso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. È stato docente di Politica economica e finanziaria. Si è occupato di problemi di teoria monetaria e di storia del pensiero economico nonché di politica economica. È autore di L’Antieuropa delle monete (con A. Fumagalli, Il Manifesto 1993) e di Saldi di fine secolo. Le privatizzazioni in Italia (Ediesse, 1998). Più di recente ha pubblicato Il mercato oltre le ideologie (Università Bocconi Editore, 2006), Le stagioni dell'antitrust (con Andrea Pezzoli,Università Bocconi Editore 2010) e Trattatello sulla felicità (LUISS University Press, 2013). Giovanissimo, ha  iniziato a collaborare (1964-1966) con il gruppo della rivista della sinistra operaista "Classe Operaia" di cui Mario Tronti  fu tra i fondatori (con Massimo Cacciari e Alberto Asor Rosa) e negli anni Settanta è stato redattore di alcuni progetti editoriali militanti tra i quali la rivistaPrimo Maggio. Presidente dell'associazione ACQ/Lab21 scrive regolarmente sul sito di www.lib21.org

martedì 12 novembre 2013

Michel Foucault: Mal fare, dir vero. Funzione della confessione nella giustizia. Corso di Lovanio, 1981 @ Einaudi, It, Dic. 2013

Mal fare, dir vero

Michel Foucault

Funzione della confessione nella giustizia. 

Corso di Lovanio (1981)
Piccola Biblioteca Einaudi Ns, 2013
pp. XVI - 352 


A cura di Fabienne Brion
e di Bernard E. Harcourt

L'avventuroso ritrovamento del corso di Lovanio conferma quale sia stato il problema che ha orientato, dall'inizio alla fine, il lavoro di Michel Foucault: quello della verità, nei suoi rapporti con la soggettività. Una verità qui declinata nella forma peculiare ed esclusiva della storia dell'Occidente, quella della confessione. Il cuore di queste lezioni, infatti, è costituito dalla ricostruzione del dispositivo che va dalle pratiche penitenziali nel cristianesimo primitivo alle procedure di veridizione di sé e sottomissione nel monachesimo cenobitico. È lí, secondo Foucault, che è stato allestito un nuovo tipo di soggettività, ormai indissolubilmente legato all'obbligo di verbalizzazione della colpa commessa e al dovere di esplorazione degli arcana conscientiae, nucleo dell'inquadramento cristiano dell'esistenza individuale. Attraverso la progressiva generalizzazione ed estensione di un'ermeneutica che si mette a ricercare nel «foro interiore della coscienza» e nelle spire della concupiscenza la verità segreta dell'anima, Foucault diagnostica la nascita di una forma di governo degli individui destinata a investire la vita nella sua totalità, fino alle tecniche giudiziarie dell'età contemporanea e alle procedure di medicalizzazione dell'esistenza, origine di tutte le psicologie che pretenderanno, di lí in avanti, di decifrare i misteri dell'anima, facendoci credere che solo cosí potremo accedere alla libertà e alla verità. È forse allora proprio per rimetterle in discussione che Foucault si spingerà a formulare il solo imperativo e la sola prescrizione che abbia mai enunciato: «Non confessiamo mai!»


domenica 10 novembre 2013

Marco De Vidi: Venezia senza limiti con il Festival dei matti @ l'Unità, 9 novembre 2013


Marco De Vidi: Venezia senza limiti con il Festival dei matti @ l'Unità, 9 novembre 2013

Incontri, reading, spettacoli, presentazione di libri sul tema della malattia mentale, ma anche sulla energia che racchiude la diversità. La città di Basaglia si apre  con passione ad un mondo inquieto e imprevedibile

Riportare la follia al centro della città. Liberarla da quelle rigide demarcazioni che separano la normalità dalla patologia, relegando quest’ultima a quelle fredde definizioni cliniche che hanno come unico scopo quello di tenercene a distanza. Farsi invece contaminare, riscoprire quella dimensione che appartiene a ognuno di noi e che spesso è misconosciuta, ma non per questo non esiste. 
Sono questi alcuni degli intenti che il Festival dei Matti vuole perseguire, dando visibilità alla follia e a quelle forme di sofferenza che spesso preferiamo fingere di non vedere. Questo fine settimana (dall’8 novembre fino a domani) Venezia è lo scenario di incontri, dibattiti, spettacoli che vogliono mettere in discussione molte dei luoghi comuni cui siamo abituati. 

La città lagunare è, non a caso, la città natale di Franco Basaglia e questo festival cerca di rendere a suo modo omaggio al rivoluzionario psichiatra. La quinta edizione dell’appuntamento si intitola Esìli, termine che richiama lo spaesamento e la perdita delle categorie che normalmente abitiamo. «La follia è un po’ un esilio», ci spiega Anna Poma, ideatrice del festival, «è una condizione che spesso produce esclusione, un allontanamento. Alcune forme di malessere e di sofferenza non vengono accolte, non trovano cittadinanza e questa condizione è simile a quella di chi, per qualche motivo, si trova espulso dal contesto in cui si trova». Il filo conduttore degli incontri è proprio quello di raccontare l’esilio, in senso reale o figurato. 

Lo scrittore Mauro Covacich, ad esempio, a partire dal suo ultimo romanzo L’esperimento ha parlato dell’intricato rapporto tra immaginazione e realtà. Il conduttore radiofonico (nonché psicologo) Massimo Cirri ha incontrato oggi il regista Andrea Segre, osservatore attento di migrazioni e di incroci tra culture differenti. Molti sono gli incontri con specialisti come Franco Rotelli, psichiatra collaboratore di Basaglia a Trieste, e Pier Aldo Rovatti, filosofo che ha dedicato grossa parte della sua ricerca ai temi della psicanalisi e del rapporto tra filosofia e psichiatria. 

Altro appuntamento importante stamane con la presentazione  del libro dei giornalisti Dario Stefano Dall’Acqua e Antonio Esposito dedicato al tema degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari: l’argomento è caldissimo, poiché dopo che la Commissione Marino decretò la chiusura degli Opg a causa delle condizioni disumane in cui si trovavano i reclusi, ci troviamo ora di fronte a una situazione di proroga indefinita delle misure di detenzione, nonché di un cortocircuito mai risolto tra i temi della responsabilità penale e della custodia volta alla cura. 

Altro argomento di particolare interesse nell’edizione di quest’anno è l’attenzione rivolta al mondo omosessuale e dell’identità di genere. «Abbiamo ragionato sul fatto», spiega Anna Poma, «che in una situazione di carenza di diritto, in ragione della propria identità affettiva e sessuale, si producano situazioni di forte sofferenza anche mentale, dovute al fatto di subire una forte discriminazione». E spesso queste sono situazioni che si trasformano in veri e propri esili, se diventa necessario andare in un altro paese per sposarsi e vedere riconosciuta la propria identità di coppia. L’incontro di domattina al Teatro Goldoni sarà rivolto proprio a questi temi.

Tra gli spettacoli proposti ci sarà il reading di Licia Maglietta dedicato al tema del Delirio Amoroso (questa sera al Teatro Goldoni), basato su alcuni testi composti da Alda Merini. La regista Emma Dante presenterà invece La bella Rosaspina addormentata (il pomeriggio di domenica 10 al Teatrino Groggia), favola teatrale che affronta i temi dell’identità di genere e vuole far riflettere sia adulti che bambini. Un altro appuntamento importante sarà l’anteprima nazionale di Asterix e Obelix, spettacolo proposto dall’Accademia della Follia (sempre domenica al Teatro Goldoni). Questa compagnia, nata proprio all’interno dell’ex ospedale psichiatrico triestino, rappresenta al meglio ciò che i “matti” possono diventare una volta liberati dai luoghi e dai discorsi in cui vengono confinati solitamente. Quella fondata da Claudio Misculin è infatti divenuta negli anni una compagnia di attori professionisti che del teatro hanno fatto la propria vita, partecipando a tournée internazionali e trovando nella creazione artistica quella via per esprimere se stessi e trasformare le proprie esperienze di sofferenza in qualcosa di positivo.






Loic Wacquant- Iperincarcerazione. Neoliberismo e criminalizzazione della povertà negli Stati Uniti @ Ombre Corte, It, Novembre 2013

Loic Wacquant
Iperincarcerazione
Neoliberismo e criminalizzazione della povertà negli Stati Uniti
pp. 141

isbn 9788897522454

Prefazione di Patrizio Gonnella


il libro
A partire dalla metà degli anni Settanta gli Stati Uniti hanno sperimentato una graduale sostituzione della regolazione della povertà attraverso il welfare con un continuum carcerario-assistenziale che intreccia e connette i discorsi, le pratiche e le categorie del workfare con quelle di un apparato penale ipertrofico e iperattivo. Questo passaggio, però, non riguarda tutti gli americani: esso si manifesta soprattutto nei confronti dei poveri, dei pericolosi, dei reietti, di coloro che si mostrano recalcitranti al nuovo ordine economico ed etnorazziale che va delineandosi sulle ceneri del defunto sistema fordista-keynesiano e del ghetto urbano in via di sgretolamento. Colpisce dunque soprattutto il sottoproletariato di colore delle grandi città, i segmenti dequalificati e precari della classe operaia, e coloro che, rifiutando un "lavoro schiavistico" e un salario da fame, si rivolgono all'"economia informale di strada".
La tesi a cui giungono i documentati saggi qui raccolti è che questa trasformazione si presenta strettamente connessa alla complessiva ristrutturazione neoliberista del mercato e dello stato. I nuovi criteri di criminalizzazione e di controllo sociale rappresentano solo la punta dell'iceberg di un complesso di politiche pubbliche che comportano la riorganizzazione e il ridispiegamento dello stato. L'obiettivo è rafforzare i meccanismi di mercato e di disciplinare il nuovo proletariato postindustriale, tenendo a freno la disarticolazione interna prodotta dalla frammentazione del lavoro, dal declino dei programmi di protezione sociale e dalla conseguente ristrutturazione delle consolidate gerarchie etniche. La posta in gioco, allora, non è tanto la criminalità e la pena, quanto la trasformazione di uno stato in grado di promuovere e fronteggiare le condizioni economiche, sociali e morali che si manifestano all'ombra del neoliberismo. Un trasformazione, del resto, che non ha tardato a varcare l'oceano e a coinvolgere quasi tutti gli stati dei paesi europei.

l'autore
Loic Wacquant insegna al Centre de sociologie européene du College de France ed è professore associato di sociologia all'University of California (Berkeley). Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo Parola d'ordine: tolleranza zero (Feltrinelli, 2000), Anima e corpo (DeriveApprodi, 2002), Punire i poveri (DeriveApprodi, 2006) e per i nostri tipi Simbiosi mortale. Neoliberalismo e politica penale (2002).

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mercoledì 6 novembre 2013

Neoliberalismo







Neoliberalismo

Giovanni Leghissa

NEOLIBERALISMO

UN'INTRODUZIONE CRITICA

Spesso il neoliberalismo viene considerato un’acutizzazione del capitalismo o la semplice estremizzazione del liberalismo. In questo libro si cerca invece di evidenziare come il progetto di dominio neoliberale costituisca un modo inedito di intendere il governo delle vite. Quale antropotecnica di tipo biopolitico, il neoliberalismo sussume ogni aspetto dell’umano sotto le categorie dell’efficienza economica – ma ciò non semplicemente per estendere il dominio del capitale, bensì al fine di costruire una nuova polis paradossalmente priva di ogni mediazione politica. A partire dalle analisi di Foucault sulla biopolitica, l’obiettivo che qui si persegue consiste dunque nel cercare di decostruire le categorie portanti del discorso neoliberale, sia entro la teoria economica sia nel contesto della teoria delle organizzazioni. Alla fine del percorso, la tematica del desiderio − in primis desiderio di giustizia − viene attivata quale possibile punto di partenza per ripensare il senso e gli scopi dell’azione politica.

Giovanni Leghissa (Trieste, 1964) è Ricercatore confermato presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’educazione dell’Università di Torino. Ha insegnato filosofia presso le Università di Vienna, Trieste, e presso la Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe. Redattore di “aut aut”, ha curato l’edizione italiana di opere di Derrida, Blumenberg, Husserl, Overbeck, Tempels e Hall. Tra le sue pubblicazioni: Il dio mortale. Ipotesi sulla religiosità moderna (Milano 2004), Il gioco dell’identità. Differenza, alterità, rappresentazione (Mimesis, Milano 2005), Incorporare l’antico. Filologia classica e invenzione della modernità (Mimesis, Milano 2007). Ha curato (con L. Demichelis)Biopolitiche del lavoro (Mimesis, Milano 2009). Le sue indagini hanno come punti focali: epistemologia critica delle scienze umane (con particolare riferimento all’antropologia, alla storia delle religioni e alla filologia), fenomenologia, psicoanalisi, rapporto tra religione e modernità, filosofia interculturale, Postcolonial e Cultural Studies. Da alcuni anni le sue ricerche mirano a indagare le trasformazioni del rapporto tra razionalità economica e razionalità politica nell’età neoliberale.

L

domenica 3 novembre 2013

Maurizio Lazzarato: Puissances de l'invention : La Psychologie économique de Gabriel Tarde contre l'économie politique - Les empêcheurs de penser en rond (17 avril 2002)


Maurizio Lazzarato 
Puissances de l'invention : La Psychologie économique de Gabriel Tarde contre l'économie politique 
Les empêcheurs de penser en rond (17 avril 2002)

La pensée de Gabriel Tarde (1843-1904) a connu, en France, un long cheminement, le plus souvent minoritaire, dont l'aboutissement le plus récent est l'oeuvre de Deleuze et Guattari. Ce livre montre l'actualité de la psychologie économique tardienne qui pourrait bien constituer la meilleure boîte à outils pour interroger les transformations du capitalisme contemporain. La renaissance de la philosophie de la différence, dont Tarde est l'un des principaux précurseurs, s'est affirmée autour de 1968. Mais elle s'est alors confrontée à l'économie politique avec beaucoup de prudence: le terrain était occupé par le marxisme dont le dépassement posait de redoutables problèmes politiques et théoriques. Maintenant que la question du socialisme a traversé une crise aiguë, l'heure de Tarde pourrait bien enfin sonner. Au moment où tout le monde parle de l'importance de la psychologie en économie, encore faut-il disposer d'outils théoriques qui permettent de sortir de la banalité.