The biomorphic: Kurt Goldstein and the genealogy of the notion of biopolitics
Foucault’s early research on madness (and embryo of the later work on biopolitics) is critically linked with the biophilosophy originated in Germany in the XIX century and in particular with the figure of Kurt Goldstein, a German-Jewish neurologist whose influence on French thought has been crucial but rarely acknowledged. The Nazi regime forced Goldstein to leave Berlin and write his seminal book Der Aufbau des Organismus in exile in Amsterdam in 1934.
Foucault opens his first book Maladie mentale et personnalité (1954) with a critique of Goldstein’s organic medicine and definition of mental illness, surely inspired by his mentor Canguilhem. In those years Goldstein’s works are extensively recognised by Merleau-Ponty in La Structure du comportement (1942) and Phénoménologie de la perception (1945) and by Canguilhem in Le Normal et le pathologique (1943) and La Connaissance de la vie (1952). In a bizarre circular coincidence, the last public and authorised text by Foucault is the 1985 introduction to the English edition of Le Normal et le pathologique, Canguilhem’s first publication and doctoral thesis, which draws directly from Goldstein’s distincion of normality and pathology. Along this track, in his introduction, Foucault states famously: “life is what is capable of error”.
Goldstein had so a pivotal role between Canguilhem and Foucault, with the latter committed to question and abandon the Innenwelt of neurology in order to explore the Umwelt of power apparatuses. Foucault’s epistemological turn can be easily illustrated also by the titles of their main works: Canguilhem’s La Connaissance de la vie (1952) is conceptually reversed into Foucault’s La Volonté de savoir (1976). This shift from knowledge as an expression of life to knowledge as an expression of power upon life, however, leaves on the ground the problem of the autonomy of the subject that will be faced by Foucault only in his latest years (L’Usage des plaisirs and Le Souci de soi, 1984). Here Foucault’s care of the self can be interestingly compared with the drive of self-actualisation that Goldstein recognises in any organism.
For Goldstein indeed a healthy organism is not defined by normality but by normativity — that is the power to invent continuously new norms and adapt life to new environmental conditions. Also Deleuze and Guattari’s cryptic notion of Body-without-Organs can be better understood under this light. When they write that “the organism is the enemy” (Mille Plateaux, 1980), they warn against the reactionary dangers hidden in any philosophy of the living that does not question and exceed the borders of the Organism.
Against a gothic tone recently adopted in philosophy (depicting conflict as a Manichean opposition of ‘naked life’ and sovereign power), Goldstein’s thought can be helpful to reframe a political autonomy of the living. The biomorphic is the notion introduced here against the transcendental definitions of the biopolitical in order to recognise the ab-normal yet always normative forces of life. Goldstein believed indeed that the demand for a return to nature was utopia: it is by following his quasi-Spinozian biomorphism that we can imagine so the metamorphosis of a new society out of the shell of the old and not just out of its ‘nakedness’.
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Il biomorfico. Kurt Goldstein e la genealogia del concetto di biopolitica.
Le prime ricerche di Foucault sulla follia (embrione del lavoro successivo sulla biopolitica) sono legate criticamente alla biofilosofia sorta in Germania nel XIX secolo e in particolare alla figura di Kurt Goldstein, neurologo ebreo-tedesco la cui influenza sul pensiero francese è stata cruciale ma fino ad ora poco riconosciuta. Il regime nazista costrinse Goldstein a lasciare Berlino e a scrivere in esilio ad Amsterdam il suo fondamentale testo Der Aufbau des Organismus nel 1934, pubblicato poi in inglese nel 1939 e in francese nel 1951.
Foucault apre il suo primo libro Maladie mentale et personnalité (1954) con una critica della medicina organica di Goldstein e della sua definizione di malattia mentale, in un diaologo implicito con il suo maestro Canguilhem. Il lavoro di Goldstein è largamente citato in quegli anni da Merleau-Ponty in La Structure du comportement (1942) e Phénoménologie de la perception (1945) e da Canguilhem in Le Normal et le pathologique (1943) e La Connaissance de la vie(1952). In una bizzarra coincidenza circolare, l’ultimo testo a ricevere l’imprimatur di Foucault è l’introduzione all’edizione inglese (1985) di Le Normal et le pathologique, prima opera di Canguilhem e sua tesi di dottorato, che si rifà direttamente alle nozioni di normale e patologico di Goldstein. E’ su questa traccia che nella sua introduzione Foucault stesso afferma “la vita è ciò che è capace di errore”.
Goldstein ebbe così un ruolo di snodo tra Canguilhem e Foucault, con il secondo determinato ad abbandonare l’Innenwelt della neurologia per esplorare l’Umweltdei dispositivi di potere. La svolta epistemologica di Foucault può essere facilmente illustrata dai titoli delle loro opere: La Connaissance de la vie (1952) di Canguilhem viene concettualmeente rovesciata ne La Volonté de savoir (1976) di Foucault. Il passaggio dalla conoscenza come espressione della vita alla conoscenza come espressione del potere sulla vita lascia comunque sul terreno il problema dell’autonomia del soggetto, che è affrontato da Foucault solo negli ultimi anni (L’Usage des plaisirs e Le Souci de soi, 1984). Qui la cura del sèfoucaultiana può essere confrontata in modo interessante con quella pulsione diauto-realizzazione che Goldstein riconosce in ogni organismo.
Invero per Goldstein un organismo sano non è definito dalla sua normalità quanto dalla sua normatività , ovvero dalla capacità di inventare continuamente nuove norme e adattarsi a nuove condizioni ambientali. Anche la criptica nozione di corpo-senza-organi di Deleuze e Guattari può essere meglio compresa sotto questa luce. Quando scrivono “il nemico è l’organismo” (Mille Plateaux, 1980), essi mettono in guardia contro i pericoli reazionari nascosti in ogni biofilosofia che non metta in questione ed ecceda i limiti dell’Organismo.
Contro un tono gotico di moda nella recente filosofia (che descrive il conflitto come opposizione manichea di ‘nuda vita’ e potere sovrano), il pensiero di Goldstein può essere d’aiuto per ridisegnare oggi una autonomia politica del vivente. Il biomorfico è la nozione che qui si introduce contro le definizioni transcendentali del biopolitico per riconoscere le forze anormali e semprenormative della vita. Goldstein credeva che il desiderio di tornare alla Natura fosse utopia: è seguendo il suo biomorfismo quasi spinoziano che possiamo immaginare così la metamorfosi di una nuova società dal guscio di quella precedente e non dalla sua semplice ‘nudità’.