sabato 28 febbraio 2015

Foucault contro Marx, anzi con .... @Marx21.it - 26.05.2005


Foucault contro Marx, anzi con ....
@Marx21.it
26.05.2005

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Quanto ha inciso Marx nella formazione di Foucault? E quanto il pensiero di quest’ultimo ha segnato lo sviluppo del marxismo occidentale? A questi interrogativi ha tentato di dare una risposta “Foucault, Marx, marxismi”, un convegno organizzato ieri l’altro dal dipartimento di filosofia dell’università di Bologna ieri l’altro. Manlio Iofrida – tra gli studiosi intervenuti - ha esplorato uno dei periodi più trascurati dalla letteratura critica, il Foucault che, all’inizio degli anni ’50, si iscrive al Pcf. Le sue posizioni filosofiche oscillano, all’epoca, tra la psicologia esistenziale di Biswanger (di filiazione heideggeriana) e un marxismo ortodosso in cui trovano spazio elementi di osservanza sovietica (in particolare Pavlov). I marxismi dell’epoca si formano in una nebulosa: dalle ascendenze surrealiste, all’opera di Bataille e del Blanchot del dopoguerra, fino al poeta e resistente Réné Char. Più tardi Foucault non avrebbe sostituito Marx con Heidegger, quanto piuttosto a un marxismo di osservanza sovietica un marxismo “nietzscheanoheideggeriano”. Non una cancellazione di Marx, ma l’esordio di un diverso rapporto con Marx, non più soggetto all’ortodossia. Foucault - ha notato Guglielmo Forni Rosa - distingue il riconoscimento dell’importanza di Marx dalla critica del marxismo come istituzione ancorata ad apparati di potere (partito, Stato). Il rifiuto del marxismo come scienza non è tanto una contestazione della legittimità del marxismo a comparire fra le scienze sociali del XIX secolo, ma come critica degli effetti di potere propri del discorso scientifico. L’analisi del rapporto con Marx è ostacolata tanto dal “gioco” di Foucault che usa frequentemente Marx senza citarlo, quanto a diverse imprecisioni nelle citazioni. Il caso più importante - ricordato nel convegno da Rudy Leonelli - è quello della conferenza del 1982, Le maglie del potere, in cui Foucault indica luoghi del Capitale come un punto di riferimento per un’uscita dalla concezione giuridica del potere. Con il riferimento (erroneo) al II libro del Capitale, Foucault si riferisce in realtà a brani del tomo 2 del primo libro, (IV sezione). Solo se si individua il Marx al quale si riferisce Foucault, si può leggere l’analisi delle tecnologie del potere come una generalizzazione delle analisi marxiane. Il Foucault più propriamente politico è ricordato soprattutto per le tesi dell’opera Le parole e le cose del 1966, dove contestava la reale rottura epistemica di Marx rispetto all’economia politica ricardiana - come precisa Stefano Catucci. Più tardi Foucault cercherà non tanto di “ritrattare” questa tesi, ma di circoscriverne la portata e sottolineare la rottura costituita dagli scritti storici di Marx. Alla radice della critica foucaultiana del marxismo, stanno in primo luogo i deludenti esiti dell’esperienza sovietica, la mancanza nel socialismo di un’autonoma concezione della «governamentalità», una pratica di potere che si esprime in termini di fedeltà ad un testo. Per molti versi si possono vedere corrispondenze tra le ricerche dell’operaismo italiano e le genealogie di Foucault, come segnala Marco E. Giacomelli. L’inchiesta sul cremonese di Montaldi (1956) inaugura un atteggiamento “partecipante”, in opposizione alla pretesa neutralità del ricercatore. Gli operaisti privilegiano il terreno dell’inchiesta, della co-ricerca (Guiducci, Alquati). Esperienze accomunabili a Foucault per il primato della pratica, il riferimento al sottoproletariato, il carattere disseminato del potere, il tema della società-fabbrica. Ancora oggi lo strumento dell’inchiesta potrebbe rivelarsi più attuale di certe impostazioni che insistono unilateralmente sul passaggio “epocale” al lavoro immateriale e sottovalutano le dimensioni del comando capitalistico. Alberto Burgio afferma la possibilità di leggere tanto Marx quanto Foucault come due diverse imprese fondamentalmente critiche. L’esigenza di staccarsi dalla vulgata che vuole un Foucault senza (o contro) Marx, deve farci chiedere da dove proviene: in primo luogo da Foucault stesso che, contestando il ricorso rituale e intimidatorio a Marx, usa Marx senza citarlo, e spesso laddove Marx è per lui più importante. Identificare questo Marx non citato è decisivo in quanto ci permette non solo di capire meglio Foucault e il suo rapporto con Marx, ma anche Marx stesso. Foucault ha ricordato l’importanza di Marx per lo sviluppo del concetto produttivo di potere, riguardo sia al potere disciplinare sia alla storia della sessualità. La derivazione marxiana è esplicita, così come è decisivo il ruolo dei rapporti capitalistici. Contro le ricorrenti letture economicistiche di Marx, Foucault ci ricorda che Marx è un eccezionale analista dei rapporti di potere. Di più, Foucault mette in campo un concetto di egemonia che rinvia chiaramente a Gramsci. Ma resta il limite dell’analisi molecolare del potere che, secondo Burgio, non riesce a rendere conto delle crescenti divaricazioni e gerarchizzazioni. - See more at: http://www.marx21.it/component/content/article/42-articoli-archivio/6905-foucault-contro-marx-anzi-con.html#sthash.qVrgwVi8.dpuf

lunedì 23 febbraio 2015

Chez Foucault - 1978 L.A.'s punk fanzine about power and Foucault by Simeon Wade @ Progressive Geographies, 23Feb2015



Stuart Elden wrote in Progressive Geographies:
"Back in December I posted about an elusive publication which contained a 1976 discussion with Foucault which appeared in Chez Foucault, Los Angeles: Circabook, 1978, pp. 4-22. While this text is translated into French for Dits et écrits (online here), I wanted to find the original. Dits et écrits describes the publication this way – “The Circabook is a sort of campus polycopié” – a handout or pamphlet, a mimeograph, effectively a fanzine. I could find no library that has a copy. Well now I have a scanned copy, thanks to the kindness of a reader. And it's available to download here - an interesting document and the only English source of this interview."

sabato 21 febbraio 2015

Michel Foucault: Genealogie del presente @ Manifesto Libri, 20Feb2015


Michel Foucault. Genealogie del presente

CON UN’INTERVISTA A MICHEL FOUCAULT E UN’INTERVISTA A DANIEL DEFERT
Saggi di Laura Cremonesi, Daniele Lorenzini, Orazio Irrera, Martina Tazzioli, Paolo B. Vernaglione
L’occasione di questa pubblicazione è stato il trentennale della scomparsa di Michel Foucault.  Nel 2014 in tutto il mondo convegni e libri hanno reso testimonianza  dell’opera di chi, a ragione, può essere considerato tra i grandi della storia del pensiero. Ma l’occasione non ha fatto e non può fare di Foucault un “classico” della filosofia, o dell’epistemologia, tantomeno la sua vasta produzione può essere circoscritta nell’area accademica ­– benchè ormai università e centri di formazione, luoghi di produzione e condivisione del sapere e imprese editoriali abbiano moltiplicato l’interesse per l’autore dei corsi al College de France. La figura di Foucault infatti, come accade a quei filosofi che da una posizione decentrata riscrivono categorie e forme del sapere, vive in questi anni di un paradosso: un pensiero del fuori e una cultura della marginalità sono stati indagati  e compresi a partire dalle  scansioni temporali che filosofi, storici ed epistemologi hanno assegnato ai grandi eventi e ai passaggi d’epoca, l’antichità, l’epoca classica, la modernità. Con Foucault infatti la pratica della storia ha aperto il pensiero, infrangendo le barriere disciplinari e gli specialismi, per catturare un’ontologia del presente di cui l’attualità chiede la restituzione.
Del resto il paradosso di un archeologo non può che essere questo. D’altra parte produrre discorso nell’orizzonte di una critica radicale del sapere, dei rapporti di potere e delle forme di soggettivazione comporta una reazione forte di quella modernità che è stata criticata e  messa in scacco con i suoi stessi strumenti concettuali.
Da questa particolare postura, assunta nell’elaborazione di un metodo genealogico, a partire dagli scorsi anni Sessanta, si stacca la problematizzazione dello strutturalismo e della fenomenologia,  e deriva quello sguardo trasversale sul sapere e la storia che ha molto in comune con il gesto sovversivo di Nietzsche nei confronti della metafisica.  L’”uso” che è stato e continuerà ad essere fatto del pensiero di Foucualt costituisce, non solo per questi motivi, il lascito più importante e produttivo per le generazioni a venire. Infatti movimenti di contestazione, comunità gay, teorici politici radicali, nonchè quei rari filosofi che assumono l’archeologia dei saperi e del linguaggio come orizzonte complessivo di ricerca, e la genealogia come metodo analitico, hanno continuato l’opera foucauldiana, rendendo esplicito l’intreccio inestricabile di pensiero e prassi e sgombrando in via definitiva il campo sia dall’ideologia dell’intellettuale come figura separata dalla società, ideologia resistente fino a Sartre, sia dall’idea che la militanza politica escluda la riflessione e sia l’orizzonte esclusivo dei conflitti.
D’altra parte la ricerca e il dibattito intorno alla follia, all’organizzazione discorsiva dei saperi, ai dispositivi disciplinari e alle forme di soggettivazione vivono nella contraddizione che si è aperta tra ricezione del pensiero di Foucault e la rilettura più o meno filologica della sua opera. Ricerca e confronto che hanno impegnato almeno tre generazioni di studiosi, militanti e ricercatori, prima di acquisire il rango di tematiche del presente, con l’inevitabile genericità che comporta l’adattamento ad un’attualità che le respinge, di questioni inscritte nella carne viva di esistenze compromesse. Così, mentre negli anni Sessanta il metodo inaugurato da Le parole e le cose e L‘ Archeologia del sapere si scontrava con la tradizione storicista e lo strutturalismo, risultando di difficile penetrazione anzitutto in Francia, negli anni Settanta la stagione dei conflitti operai e studenteschi produceva un controeffetto sul lavoro che Foucault  sviluppava sulle istituzioni disciplinari e la microfisica del potere, annodando riflessione e pratica politica, teoria e analisi delle contraddizioni del capitalismo nel confronto con il pensiero di Marx, letto a sua volta per la prima volta fuori e contro i “marxismi”.
Laddove poi la modernità assumeva l’abito e il ritmo della “modernizzazione”, negli anni Ottanta, la grande riflessione di Foucault sulle pratiche di soggettivazione, la parresia, la cura di sè e il governo dei viventi, rendevano esplicito il rapporto essenziale tra l’ “inattualità” del metodo archivistico e la registrazione del presente, dotando il pensiero di un formidabile strumento di penetrazione di una realtà considerata debole perchè postideologica. Ciò che è successo dopo, con la pubblicazione progressiva dei Corsi, dell’impressionante mole dei Dits et Ecrits e con la progressiva pubblicazione delle conferenze e degli interventi degli anni Ottanta, di cui abbiamo anche parziale testimonianaza on line con le registrazioni audio e video, ha contribuito in larga misura a rendere popolare la ricezione e l’ascolto di Foucault, aprendo quel piano concettuale che va sotto il nome di “biopolitica”. Questo rimane a tutt’oggi il luogo più discusso e rielaborato del suo pensiero.

mercoledì 18 febbraio 2015

Mauro Bertani, Daniel Defert, Alessandro Fontana, Thomas C. Holt Textes réunis par Jean-Claude Zancarini: Lectures de Michel Foucault. Volume 1: À propos de « Il faut défendre la société » - ENS Éditions (30 janvier 2014) - Format Kindle


  • Lectures de Michel Foucault. Volume 1: À propos de 

    « Il faut défendre la société »


    Mauro Bertani, Daniel Defert, Alessandro Fontana, Thomas C. Holt
    Textes réunis par Jean-Claude Zancarini

  • Format : Format Kindle
  • Taille du fichier : 1714 KB
  • Nombre de pages de l'édition imprimée : 115 pages
  • Editeur : ENS Éditions (30 janvier 2014)
  • Langue : Français

Les contributions réunies dans ce volume constituent une des premières tentatives pour prendre en compte la nouveauté qu’entraîne la mise à la disposition du public des cours de Foucault au Collège de France. Dans « Il faut défendre la société», Foucault envisage les questions du pouvoir, de la guerre comme analyseur des rapports de pouvoir et fait la généalogie du discours historico-politique de la guerre des races, depuis ses prémisses au XVIe siècle jusqu’à sa transformation en racisme d’état au XXe siècle. L’objectif visé par ces Lectures de Michel Foucault n’est pas de soumettre l’analyse de ce dernier à la grille d’un commentaire érudit, mais de problématiser le lien entre le discours historique de la guerre des races, aux XVIIe et XVIIIe siècles, et le racisme biologique de la fin du XIXe siècle, à travers l’hypothèse générale du développement du bio-pouvoir en Occident. Il s’agit ici avant tout, au-delà de toute volonté d’exégèse célébrative, d’ouvrir des voies nouvelles de réflexion qui prolongent parfois, mais aussi déplacent ou contestent, les pistes tracées par Foucault. On lira dans ce livre des contributions sur la généalogie des concepts foucaldiens - notamment celui de bio-pouvoir - leur mode d’articulation et la perspective militante dans laquelle ils s’inscrivent (M. Bertani et A. Fontana) ; une interrogation sur la nature du tournant que représente ce cours dans la pensée de Foucault (D. Defert) ; une réflexion sur l’articulation du problème politique du pouvoir et de la question historique de la race qui met en évidence la nécessité, pour que cette « généalogie du racisme» puisse aboutir, de faire intervenir l’histoire de la traite des noirs et du système esclavagiste (T. C. Holt) ; enfin, parce que ces réflexions furent, à l’origine, menées dans une journée d’étude passionnée, on y trouvera les interventions d’autres chercheurs sur ces hypothèses, ces analyses et ces questions.

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Federico Zappino: Cosa sono le risorse umane? @ Alfabeta2 online, 18Feb2015 (Recensione del libro di Massimiliano Nicoli: Le risorse umane)


Federico Zappino: Cosa sono le risorse umane?  
@ Alfabeta online, 18Feb2015 

(Recensione del libro di Massimiliano Nicoli: Le risorse umane)

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Il modo in cui la nuova ragione del mondo neoliberista imperversa e continua a imporsi ovunque, senza incontrare consistenti e ben organizzate ragioni contrarie, può essere solo parzialmente leggibile se non si è disposti a comprendere come questa imperversi e s’imponga innanzitutto “dal basso”, nei luoghi e nei rapporti quotidiani di lavoro, sia pubblici sia privati. Dagli anni Settanta in poi, e in particolare sotto l’egemonia dei governi liberisti degli anni Ottanta, il modello dell’impresa privata – e della sua etica protestante che, come diceva il borghesissimo Weber, è spirito del capitalismo – è assurto a paradigma non solo del modo di organizzazione del lavoro in generale, ma anche del modo di governo, di relazione e di soggettivazione – come ben attestano note formule quali soggetti-impresa, o imprenditori di se stessi.
In seno a questo paradigma, le modalità di gestione delle risorse umane – perfettamente consone ai processi di precarizzazione, di desindacalizzazione e di de-welfarizzazione – individualizzano pressoché ovunque il rapporto che ciascun lavoratore intrattiene sia con la propria mansione e con la propria autovalorizzazione, sia con chi decide dei suoi rinnovi contrattuali, anche quando non sono retribuiti. Tali forme, da un lato erodono la dimensione collettiva e sociale del lavoro, così come le possibilità concrete di autonomia e di alleanza tra lavoratori; dall’altro riempiono i buchi di tale erosione attingendo a tutta una serie di pseudoscienze derivanti in particolar modo dalla psicologia positivistica e, più di recente, dalle neuroscienze o dalla programmazione neurolinguistica (PNL), così come dalla filosofia, con le quali dissimulare o giustificare l’arbitrio e portare finalmente a compimento la spoliticizzazione integrale del lavoro e dei lavoratori su larghissima scala, mediante una gestione perfettamente determinabile e programmabile, almeno quanto determinabili e programmabili, secondo tali scienze, sarebbero la Mente, i Nervi, il Corpo. Lavoratori e individui, dunque, che non solo sopportino la precarietà e l’eclissi dei diritti sociali, o che ad esse soccombano sotto l’irruzione della necessità, ma che addirittura sposino convintamente questa nuova razionalità. E che, se adeguatamente valorizzati, pervengano a farsene promotori, ad amarla, quasi a erotizzarla.
In altre parole, per comprendere appieno la ragione neoliberista occorre addentrarsi nei sentieri del management, come fa bene il libro di Massimiliano Nicoli, Le risorse umane, appena pubblicato per Ediesse. Nicoli, che è studioso di Foucault e anche attivista sindacale, offre validi strumenti per la ricostruzione e l’analisi di questo processo (tra cui un opportuno Glossario in coda al testo), e lo fa proprio restituendogli una profondità storica e concettuale, secondo il metodo genealogico foucaultiano, in grado di mettere in risalto le varie strategie, i vari conflitti e i vari campi di forze che sono confluiti nella sua stratificazioneInteressante è dunque il carotaggio nella tanta letteratura manageriale contemporanea (cap. 1), volto a mettere in luce quanto sia stata proprio la fagocitazione di saperi e discorsi umanistici ad aver costituito uno dei tasselli necessari per l’attuale gestione delle risorse umane.
Essa ha consentito infatti di lubrificare, innanzitutto a livello discorsivo, la penetrazione del capitale in ogni spazio del vivente: da un lato, conferendo un volto nuovo all’impresa, responsabilizzandola rispetto ai problemi dell’umanità e dell’ambiente (la corporate social responsibility, uno dei modi attraverso i quali il capitale fa pink e greenwashing); dall’altro mediante l’esortazione al «dialogo» e alla «sinergia», così come attraverso l’appello a concetti che mirano a catturare e coinvolgere individualmente il soggetto, quali la «responsabilità» individuale per un «progetto comune», o la «speranza».
Processi di individualizzazione, questi, che non potevano essere colti dalle analisi di Marx ed Engels delle fabbriche dell’800, in cui vigevano sì la gerarchia, la disciplina e disordinate forme di pianificazione, ma in cui si auspicava anche la cooperazione tra i salariati come «forma specifica del processo produttivo», come presupposto per quella «forza di massa» necessaria al capitale, che finiva regolarmente per agevolare forme collettive di antagonismo, di sciopero e di sabotaggio da parte degli operai, e dunque per rallentare i processi produttivi (cap. 2).
Nemmeno il modello organizzativo di Taylor riuscirà a imbrigliare del tutto la «mano ribelle del lavoro»; ma certo Taylor – e il suo «matrimonio» con Ford (cap. 3) – darà vita a un «paradigma produttivo» altamente razionale e inflessibile che diverrà egemonico in tutto il mondo industrializzato. E che, interpretato qui con lo strumentario foucaultiano, si pone per la prima volta come un «dispositivo di controllo-assoggettamento», ossia un dispositivo in cui il lavoratore non è solo soggiogato al processo produttivo, ma acquisisce competenze e abilità in seno allo stesso processo – assume un’identità.
L’identità individuale del singolo lavoratore diventa centrale nei processi produttivi contemporanei. Il management, che vede il suo antenato più prossimo nel taylorismo ma che, a differenza di questo, è maggiormente ispirato alla flessibilità del toyotismo giapponese (cap. 4) è d’altronde quell’insieme di tecniche, saperi, e dunque poteri, di direzione e di gestione aziendale che consiste nella definizione degli obiettivi futuri mediante decisioni prese innanzitutto a partire dalla valorizzazione delle risorse disponibili: risorse che, in tempi di capitalismo finanziario, relazionale e immateriale, sono principalmente risorse umane.
Il management è dunque la forma di governo paternalistica (e totalitaria) dei luoghi e delle relazioni di lavoro; ma il management è la forma di governo anche dell’intera società post-taylorista e postfordista, in cui il mondo coincide con il capitale, o in cui l’impresa ha totalizzato il mondo, e in cui dunque non si dà più alcuna distinzione tra luoghi, tempi e relazioni di lavoro e di tempo libero, tra soggetti e soggetti produttivi: ogni competenza o attitudine relazionale, dai saperi tradizionali all’orientamento sessuale, è una risorsa messa costantemente a valore e al lavoro dal capitale. Meccanismo la cui perversione, tra le altre cose, è consistita nell’aver consentito l’inclusione strumentale nei processi produttivi e di messa a valore – ossia: nel mondo – di quei soggetti un tempo esclusi, come ben dimostra il diversity management, appunto.
Il management, in altri termini, è il contraltare aziendale – e dunque: la stessa cosa – della governamentalità neoliberale. D’altronde, la formula «risorsa umana» ha il pregio di evocare proprio quella compenetrazione tra soggettività e potere – il pregio di mettere in evidenza che quel processo mediante il quale il management procede alla gestione delle risorse umane non è l’altra faccia, bensì l’unica faccia del capitale, il quale produce meticolosamente ciò da cui poi estrae valore. Che a questo processo sia possibile opporre resistenza appellandosi foucaultianamente alle semplici controcondotte, soprattutto quando sono in pochi a farlo, è una questione aperta. Senz’altro, la genealogia tracciata da Nicoli offre ottimi strumenti concettuali a quanti abbiano in mente una ragione contraria – una ragione, cioè, che senza uscire dallo strumentario foucaultiano, ritiene che le varie controcondotte debbano trovare un modo per organizzare qualcosa in comune.

domenica 15 febbraio 2015

24 Avril 1971 Michel Foucault: Le fou et les institutions des jeux @ Club Tahar Haddad, Tunisie (from Conférence: Folie et civilisation, 1971) - Revue Les cahiers de Tunisie 3e-4e Trimestres 1989







Please read the whole lecture @ Les Cahiers de Tunisie

NB: il testo completo, tradotto in italiano, della conferenza "Folie et civilisation"si trova all'interno della raccolta di Michel Foucault intitolata "Follia e psichiatria. Detti e scritti 1957 - 1984) a cura di Mauro Bertani e Pier Aldo Rovatti (Raffaello Cortina editore, 2005).

venerdì 13 febbraio 2015

Cesare de Seta: Sos Albergo dei Poveri: ospiti la Biblioteca Nazionale @ Corriere della Sera 13 febbraio 2015


Sos Albergo dei Poveri: ospiti la Biblioteca Nazionale

di Cesare de Seta @ Corriere della Sera 13 febbraio 2015

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NAPOLI - L’Albergo dei Poveri è una delle testimonianze più alte del despotismo illuminato di re Carlo di Borbone; destinato a ospitare i poveri e i diseredati del Regno, ma anche adolescenti e giovani perché imparassero un mestiere. La sua progettazione fu affidata a un insigne architetto fiorentino come Ferdinando Fuga che aveva già lavorato a Roma al Palazzo del Quirinale con la “manica lunga” e al Palazzo della Consulta. A Napoli nel 1751 iniziarono i lavori: il cantiere rimase aperto per decenni e mai concluso. Il progetto originario, così come lo si vede nella mappa del Duca di Noja, prevedeva cinque corti e la fabbrica era lunga oltre 600 metri; fu realizzata, nel tempo, a tre corti e la facciata attuale è lunga ben 385 metri.
Fu infatti progettato per ospitare, separandoli per sesso ed età, ottomila ospiti. Il progetto originario di Fuga rimase incompiuto alla sua morte nel 1781 e successive modifiche furono apportate da Mario Gioffredo, Carlo Vanvitelli e Francesco Maresca. Non è questa l’occasione per far la storia aggrovigliata della fabbrica: Paolo Giordano nel sontuoso volume L’Albergo dei poveri a Napoli ( La scuola di Pitagora editrice, foto di Mimmo Jodice, 400 pagine), con il suo pluriennale lavoro di rilievo e d’indagini sul campo ci offre una rassegna esemplare di splendidi disegni, che mettono in evidenza il registro compositivo adottato da Fuga. Questi era un figlio della cultura illuminista, ma capace anche di soluzioni innovative quale è quella di collocare nella corte centrale (in miserevole disfacimento) una grande chiesa a pianta centrale con quattro navate a croce di Sant’Andrea dove raccogliere, ancora separatamente, gli uomini e le donne, i bambini e le bambine.
Un vero Panopticon che sarebbe piaciuto a Michel Foucault, il quale — posso testimoniarlo — mai l’aveva visto. Meccanismi di separazione tipologica; analisi dei flussi di percorso degli ospiti all’interno dell’edificio; individuazione delle diverse strutture di collegamento verticale destinate agli ospiti o ai ministri dell’edificio: sono questi i punti salienti chiariti dalla più recente ricerca sull’Albergo dei Poveri, su cui spicca una storica come Elizabeth Kieven. Paolo Giordano con le sue ricerche e i suoi rilievi, ha posto basi solide per ogni futuro intervento, consentendo alla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e al Comune di Napoli di predisporre, nel 2002, un progetto di restauro e riconfigurazione dell’Albergo dei Poveri. Purtroppo i recenti lavori di restauro che si sono allontanati dall’ipotesi predisposta da Giordano, non fanno ben sperare.
La monocromia bianca attribuita recentemente all’edificio settecentesco rappresenta una contradictio con le reali caratteristiche d’identità della fabbrica. Al di là dello scandaloso abbandono, la morfologia e la tipologia dell’edificio nella sua secchezza è tale che molte ipotesi d’uso sono possibili. Non certo quello prospettato in una ricerca commissionata dal sindaco Bassolino e dall’assessore De Lucia che prevedeva un fantomatico Museo del Mediterraneo e persino un hotel di lusso (sic!). Né è credibile l’ipotesi pure avanzata di farne una «Città per i bambini», quasi un’inclinazione sadiana per i poveri malcapitati. Il problema essenziale è che il restauro della fabbrica non può condursi pezzo per pezzo, ma deve essere chiara la visione dell’insieme e la destinazione d’uso che avrà. Una così immensa fabbrica dovrà avere di necessità un uso polifunzionale. Chiunque può leggere quanto scrissi sul tema in Bella Italia. Patrimonio e paesaggio tra mali e rimedi ( Electa, 2007). Il progetto di fattibilità va condotto in concerto con l’ipotesi di restauro. Qualunque studioso di questi argomenti sa benissimo che queste ipotesi debbono procedere su binari paralleli: conoscenza del manufatto analitica (finalmente c’è!), valutazione degli interventi da compiere, ipotesi di riuso, dunque analisi dei costi e dei benefici che si traggono dall’una o dall’altra ipotesi. Una delle storture concettuali più perversamente diffuse nel nostro tempo è che l’economia sia la scienza delle scienze, una scienza (esatta?) dominante a cui piegare i monumenti e talvolta la vita degli uomini.
L’Albergo dei Poveri è una fabbrica ben più delicata del Lingotto di Torino (un modulo in cemento armato) e qualunque ipotesi d’uso deve — in primis — misurarsi con la qualità architettonica del manufatto e con la sua storia. La soluzione che avanzai fu quella di un mallo di funzioni, a cui aggregare molteplici attività congrue: pensai che questo mallo potesse essere la Biblioteca Nazionale, oggi a Palazzo Reale in spazi del tutto inadeguati alla crescita dei due milioni di volumi e alle funzione di una moderna biblioteca. A sostegno di questa ipotesi c’è il vantaggio di liberare larghi spazi in Palazzo Reale e ricondurli alla sua naturale destinazione museale. Lasciando in Palazzo Reale solo i nuclei bibliotecari più antichi e preziosi. Come è accaduto a Parigi con la Biblioteca Nazionale di Francia che conserva, in centro, solo il nucleo storico della Biblioteca Doucet e ha trasferito a Bercy la BN. Gli spazi di Fuga sono per la loro razionalità illuminata del tutto idonei a ospitare una biblioteca senza che si debba intaccare o ledere i caratteri tipologici dell’Albergo. Ma è insensato procedere a mozzichi e bocconi. Un complesso analogo all’Albergo dei Poveri, pressoché contemporaneo, nel centro di Madrid è divenuto una sorta di Beaubourg spagnolo: il Centro de Arte Reina Sofia ospita mostre e spettacoli, attività scientifiche e didattiche, centri commerciali e per il tempo libero.
Nei vastissimi spazi dell’Albero dei Poveri potrebbero essere ospitate attività idonee e indispensabili a una grande biblioteca: studi, istituzioni di formazione pubbliche e private, scuole e laboratori per il restauro dei libri e della rilegatura, laboratori artigiani per restauri d’opere d’arte e di mobilia, gallerie d’arte: attività a cui potrebbero concorrere istituzioni pubbliche e private, auspicando che queste ultime battano un colpo. Lo stato penible è tale da non meritare commenti. La questione è da anni nelle deboli mani del sindaco, ma investe direttamente il ministro Franceschini perché l’Albergo dei Poveri non è un relitto da rottamare: è una delle fabbriche più insigni e possenti dell’Europa dei Lumi ridotta a rovina piranesiana.

mercoledì 11 febbraio 2015

Roberto Ciccarelli: Il governo delle "risorse umane" @ Il manifesto 10Feb2015 (recensione del libro di Massimiliano Nicoli "Le risorse umane")


Il governo  delle  «risorse umane» 


di Roberto Ciccarelli


Il Manifesto, 10 febbraio 2015


Neoliberismo. Massimiliano Nicoli, Le risorse umane (Ediesse). Come, e perché, l'impresa è diventata la nostra forma di vita e il management l'unico discorso sull'«umano». Un libro prezioso sia dal punto di vista della documentazione, sia dal punto di vista critico
L’egemonia della cul­tura dell’impresa neo­li­be­rale emerge nei luo­ghi più ina­spet­tati. Quando la Cgil invita ai con­ve­gni Luigi Ber­lin­guer, già mini­stro dei Ds che rifor­ma­rono l’università intro­du­cendo le pra­ti­che con­ta­bili, ban­ca­rie e azien­da­li­sti­che per quan­ti­fi­care i «cre­diti» di un corso di stu­dio per uno stu­dente o la nozione di «capi­tale umano» per incre­men­tare il suo port­fo­lio di com­pe­tenze e com­pe­tere sul mer­cato del lavoro gra­zie alla «for­ma­zione continua».
Oppure quando un par­tito della sini­stra ita­liana orga­nizza il suo labo­ra­to­rio pro­gram­ma­tico chia­man­dolo «Human Fac­tor», senza accor­gersi (o forse era voluto?) che il con­cetto di «fat­tore umano» è il pila­stro della scuola delle rela­zioni umane che ha rivo­lu­zio­nato le teo­rie del mana­ge­ment negli anni Venti del XX secolo e oggi costi­tui­sce il rife­ri­mento delle teo­rie neo­li­be­rali sul mar­ke­ting. Segnali di que­sto tipo atte­stano che il discorso dell’impresa è diven­tato la forma di vita in cui si danno oggi tutte le rela­zioni in una società.
Un utile stru­mento di orien­ta­mento e deco­di­fi­ca­zione dell’orizzonte appa­ren­te­mente insu­pe­ra­bile dell’impresa, e del suo lin­guag­gio ormai natu­ra­liz­zato, è il libro del filo­sofo Mas­si­mi­liano Nicoli Le risorse umane (Ediesse, pp. 239, 12 euro). Un libro pre­zioso sia dal punto di vista della docu­men­ta­zione (è una ras­se­gna delle teo­rie sulla gestione d’impresa sin dalla fon­da­zione con Ford e Tay­lor), sia dal punto di vista cri­tico (l’autore è un inter­prete di Michel Fou­cault e della sua let­tura del neo­li­be­ri­smo e della biopolitica).
La con­giun­zione tra il discorso pub­blico e l’immaginario del sog­getto impren­di­tore si è sal­data fin dagli anni Set­tanta, si è con­so­li­data nella rivo­lu­zione con­ser­va­trice di That­cher e Rea­gan, è diven­tata uni­ver­sale dopo la caduta del Muro di Ber­lino. L’idea della spe­cia­liz­za­zione fles­si­bile della pro­du­zione post­for­di­sta (lean pro­duc­tion e pro­du­zione just-in-time o on demand) ha incon­trato la stra­te­gia dell’innovazione per­ma­nente e della for­ma­zione con­ti­nua. La tra­sfor­ma­zione del modo di pro­du­zione ha defi­nito l’esistenza di un nuovo cit­ta­dino al quale è oggi richie­sta la par­te­ci­pa­zione al capi­tale, la col­la­bo­ra­zione desi­de­rante alla pro­pria alie­na­zione, l’interiorizzazione delle colpe dei domi­nanti sotto forma delle poli­ti­che dell’austerità e del debito.
Nicoli mostra come la forma-impresa sia diven­tata una forma di vita, men­tre la sog­get­ti­vità è con­ce­pi­bile solo come un dive­nire impresa del sé e del rap­porto con gli altri. «La con­nes­sione tra post­for­di­smo e neo­li­be­ra­li­smo non solo asse­gna ai mer­cato un ruolo “ale­tur­gico”, cioè di mani­fe­sta­zione del vero e di test della vali­dità delle pra­ti­che poli­ti­che – scrive — ma indi­vi­dua nella sog­get­ti­vità indi­vi­duale un altro luogo di “veri­di­zione” in cui si mani­fe­sta la nozione neo­li­be­rale di “capi­tale umano”. Ciò che resta della sto­ria è noto: la poli­tica, come la cono­scenza, o qual­siasi forma di vita attiva, oggi sono l’espressione del mana­ge­ment delle risorse umane eser­ci­tato attra­verso le tec­ni­che della valu­ta­zione, espo­si­zione o con­fes­sione che tra­sfor­mano gli indi­vi­dui in unità-imprese».
Il libro di Nicoli non si occupa diret­ta­mente delle alter­na­tive a que­sto dispo­si­tivo di governo delle menti e dei corpi. Quanto scrive è tut­ta­via il risvolto di una ricerca che oggi impe­gna il dibat­tito poli­tico più avan­zato. Il suo metodo ricorre agli stru­menti della genea­lo­gia di Fou­cault e si eser­cita sui saperi «grigi» dell’organizzazione d’impresa, facendo emer­gere le sfu­ma­ture del neo­li­be­ri­smo dalle bio­gra­fie dei mana­ger o dalla ster­mi­nata let­te­ra­tura sulle rela­zioni d’impresa pro­dotta in un secolo. Le mappe remote del pre­sente così trac­ciate dimo­strano che la tra­sfor­ma­zione delle strut­ture del governo oggi non pas­sano dai saperi «inco­ro­nati» dalle cat­te­dre, dalle isti­tu­zioni o dai loro corpi inter­medi, ma dalla cri­tica ser­rata degli oggetti «bassi» come il mana­ge­ment di impresa che hanno colo­niz­zato la vita.

Stuart Elden: Foucault, “The Politics of [Soviet] Crime” – a request for help from Italian readers

Foucault, “The Politics of [Soviet] Crime” – a request for help from Italian readers @ Progressive Geographies

A request for help with finding an Italian text of an interview between Michel Foucault and K.S. Karol. It appeared in Il manifesto.
This text is an interesting one – it was originally published in Le nouvel observateur, 26 janvier 1976, pp. 34-7 as “Crimes et châtiments en U.R.S.S. et ailleurs…”, and appears in Dits et écrits as text number 172. There is a partial English version, originally in Partisan Review (Vol 43, No 4, 1976, pp. 453-9) as “The Politics of Crime”, which is reprinted in Foucault: Live as “The Politics of Soviet Crime”. (I’ve seen the versions in Le nouvel observateurDits et écrits and Foucault: Live; I’m trying to get hold of a copy of the one in Partisan Review.)
The English moves directly from “even the slightest risk of upheaval” to “I would like to return to the issue of punishment in a more general sense” (Foucault: Live, 1st edition, p. 129). This cuts about four pages of the French – Dits et écrits Vol III, p. 69 – “La discipline va régner, sans ombre et sans risqué…” to p. 73 – “Mais revenons au problem du châtiment dans sa direction universelle”. The part missed is mainly on China.
Yet there is another version which includes some different material and has some cuts. I was alerted to this by Jacob Lunding, who gave me a Danish translation which does not completely accord to the French, “Interview med Michel Foucault: “At overvåge og straffe” under kapitalismen og andetsteds. Fængslerne go magten”, in Kultur & Klasse, Vol 8 No 2, 1977, pp. 23-25. This title would translate as “Interview with Michel Foucault: ‘Surveillance and punishment’ under Capitalism and elsewhere: Prisons and power”. The notes to that Danish version indicate it is a translation of the Italian text in Il manifesto, so we’d like to see that to make a closer comparison.
The interviewer, K.S. Karol, worked for both Le nouvel observateur and helped found Il manifesto, so it would appear that there was an longer original transcript, edited for both publications, but in different ways. Sadly Karol died in 2014, so that route of checking is not available.
So, can anyone help with locating the version published in Il manifesto, probably sometime in 1976 or possibly in 1977? Worldcat suggests it is only available in Italian libraries.
Nota per i lettori italiani: per chi volesse aiutare Stuart Elden nella sua ricerca dell'edizione integrale dell'intervista di K.S. Karol a Michel Foucault del 26 gennaio 1976, è pregato di rivolgersi al suo sito/blog Progressive Geographies oppure di rivolgersi a noi tramite e.mail: variazionifoucaultiane@gmail.com


martedì 10 febbraio 2015

Foucault in Tunisia – three hard-to-find lectures from Cahiers de Tunisie @ Progressive Geographies blog 09Feb2015 + Rachida Boubaker-Triki: Notes sur Michel Foucault à l’université de Tunis @ Rue Descartes online 03/2008 n.61


Foucault in Tunisia – three hard-to-find lectures from Cahiers de Tunisie 
@ Progressive Geographies blog  09Feb2015 
Thanks to the archival work of Natalie (@160B), here are three lectures Foucault gave in Tunisia. The Manet one was later published in a more polished form in La peinture de Manet which was then translated into English as Manet and the Object of Painting (and an illustrated version of the French is available open access here). There was talk, several years ago, of the other two being published in similar form, but this did not happen. The introduction, by Dominique Séglard, was published instead in Foucault StudiesOn Foucault in Tunisia more generally, see this piece by Rachida Boubaker-Triki in Rue Descartes (both in French, both open access).
Structuralisme et analyse littéraire”, Les cahiers de Tunisie, Vol 39 No 149-50, 1989, pp. 21-41. (dated 4/2/1987, which is clearly wrong, should be 1967)
Folie et civilisation”, Les cahiers de Tunisie, Vol 39 No 149-50, 1989, pp. 43-59 (24/4/1971).
La peinture de Manet“, Les cahiers de Tunisie, Vol 39 No 149-50, 1989, pp. 61-89 (20/5/1971).
Séglard notes in his piece that these transcriptions, which were unauthorised by Foucault’s estate, are not entirely accurate. They should be used with caution.
More hard-to-find texts on this site here; a few requests for help still here – fewer than before, thanks to readers.

NB: il testo completo, tradotto in italiano, della conferenza "Folie et civilisation"si trova all'interno della raccolta di Michel Foucault intitolata "Follia e psichiatria. Detti e scritti 1957 - 1984) a cura di Mauro Bertani e Pier Aldo Rovatti (Raffaello Cortina editore, 2005).

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Périphéries

Notes sur Michel Foucault à l’université de Tunis


par Rachida Boubaker-Triki   °°° Read more @ Rue Descartes


Michel Foucault a enseigné en Tunisie de septembre 1966 à l’été 1968. Outre son enseignement au département de philosophie à la Faculté des Lettres et Sciences Humaines de Tunis, il a fait un cours public au sein de la même institution et donné des conférences au Club Tahar Haddad et au Centre de Recherches (CERES), ainsi que des interviews aux journaux de la place[1]. C’est aussi durant ce séjour tunisien, dans sa maison de Sidi Bou Saïd, qu’il écrivit son livre L’archéologie du savoir, paru en 1969.
Il sera question ici de ce passage à l’université et de l’hommage que ses étudiants tunisiens lui rendirent trois ans après sa mort, les 10 et 11 avril 1997. C’est à Tunis que Michel Foucault occupa pour la première fois une chaire de philosophie à l’université ; cela lui permit, en dehors d’un enseignement de psychologie sur « la projection » et un enseignement d’histoire de l’art sur la peinture de la Renaissance, de donner un cours d’histoire de la philosophie sur Descartes et un cours public sur « La place de l’homme dans la pensée occidentale moderne ». Passionné par « l’avidité absolue de savoir »[2]de ses étudiants, il leur consacre des heures en bibliothèque, les aide à fonder un club de philosophie où il donne des conférences dont « Qu’est-ce qu’un auteur - » et « La naissance de la monnaie ».
De ses cours, il reste les notes prises par ses étudiants ainsi que l’héritage d’un enseignement d’histoire de l’art et d’esthétique qu’il institua à l’époque sous forme de certificat complémentaire ; ce dernier avait pour objet des commentaires d’œuvres picturales sur diapositives avec à la fois une analyse plastique et thématique, insistant sur la construction de l’espace, de la lumière et sur les modes de représentation du corps humain au Quattrocento et à la période baroque[3]. Quant au cours d’histoire de la philosophie sur Descartes, plus précisément, sur le Discours de la méthode et les Méditations, c’est celui dont certains de ses anciens étudiants conservent des notes intégrales[4]. Ce cours n’ayant pas été publié, nous n’en donnerons ici en appendice qu’un plan général de la première partie, la deuxième partie étant consacrée à un commentaire détaillé des Méditations.
Après la mort de Michel Foucault, quelques-uns de ses étudiants ont fondé un groupe de recherches, coordonné par Fathi Triki, sur « Penser l’aujourd’hui ». Ce groupe a été à l’origine de l’organisation, au Club Tahar Haddad, des journées d’études sur la philosophie de Michel Foucault, les 10 et 11 avril 1987 en présence de Paul Veyne, de Didier Eribon et de Dominique Seglard. Les journées ont consisté d’abord en la redécouverte des conférences de Michel Foucault (Structuralisme et analyse littéraire, février 1967, Folie et civilisation, avril 1967 et La peinture de Manet,1971) données en ce lieu même et restées jusque-là ignorées du public, dans des enregistrements sur magnétophone. Elles ont été écoutées, après avoir été enregistrées sur cassette audio, lors de ces journées grâce au concours de Jalila Hafsia, directrice du Club. Des copies de ces cassettes ont été données le jour même pour être déposées au Centre Foucault (rue Saulchoir). Les contributions[5] à ces journées ont paru deux ans plus tard dans un Numéro spécial de la revue Les cahiers de Tunisie, revue de la Faculté des Sciences Humaines et Sociales de Tunis[6].

Notes

(1)  cf. Rachida Triki, « Foucault en Tunisie », in Michel Foucault, La peinture de Manet, suivi de Michel Foucault, un regard, sous la direction de Maryvonne Saison, Seuil, Paris, 2004.
(2)  « Il n’y a probablement qu’au Brésil et en Tunisie que j’ai rencontré chez les étudiants tant de sérieux et tant de passion, des passions sérieuses et ce qui m’enchante plus que tout, l’avidité absolue de savoir. » Interview de Foucault par Gérard Fellous, in La Presse, Tunis, 12 avril 1967.
(3)  Cet enseignement continua après le départ de Foucault grâce au professeur Hammadi Ben Hlima qui fut doyen de cette faculté.
(4)  Le cours sur Descartes est conservé en notes par Mohammed Jaoua, actuellement professeur de philosophie à l’université de Sfax.
(5)  Les contributions à cette journée, publiées par Les Cahiers de Tunisie, n°149-150 (3e & 4e Trimestre 1989) sont les suivantes : F. Triki, Foucault et la philosophie ouverte ; A. Cherni, Cogito et Video ; N. Kridis, Psychogénèse et sociogénèse, R. Boubaker-Triki, L’exemplarité de la peinture ; M. Halouani, À propos de la naissance de la clinique et M. Khammassi, Foucault et la fin du structuralisme.
(6)  Les contributions des intervenants à ces journées ainsi que les conférences transcrites par un groupe d’étudiants de Foucault pour ce qui est de « Structuralisme et analyse littéraire » et de « Folie et civilisation » et par moi-même, pour ce qui est de « La peinture de Manet » avec identification des tableaux décrits dans la conférence, ont été publiées deux ans plus tard en 1989 dans la Revue Les cahiers de Tunisie, par les soins de l’historienne Kmar Ben Dana-Mechri et non sous ma direction comme il est dit dans l’article de Dominique Seglard, « Foucault à Tunis », in Foucault Studies n°4, feb 2007, p.7-18.

Massimiliano Nicoli: Le risorse umane - Ediesse, Ita, Gennaio 2015


Massimiliano Nicoli: Le risorse umane 
Ediesse, Ita, Gennaio 2015

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La nozione di risorsa umana è diventata centrale per definire la «forma-impresa» che caratterizza il capitalismo di stampo neoliberale. Di che cosa è sintomo l’inflazione di questa nozione all’interno dei luoghi di lavoro e non solo? In che modo l’«umano» è diventato oggi la «risorsa» principale dell’economia capitalistica? In questo libro - attraverso una digressione che parte dalla disciplina di fabbrica novecentesca, si sofferma sull’invenzione del management moderno e arriva fino a oggi – si sostiene che la «risorsa umana», lungi dal segnalare l’avvento del lavoro infine umanizzato, è piuttosto il correlato di una tecnologia di potere che si situa all’incrocio fra il governo politico degli individui e l’organizzazione del lavoro. Ciò che sembra una nozione tecnica o neutrale proviene in realtà da un campo di conflitti e di lotte, e rappresenta l’esito attuale di una lunga storia di tentativi di addomesticare quella che Marx chiamava la «mano ribelle del lavoro».