Sos Albergo dei Poveri: ospiti la Biblioteca Nazionale
di Cesare de Seta @ Corriere della Sera 13 febbraio 2015
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NAPOLI - L’Albergo dei Poveri è una delle testimonianze più alte del despotismo illuminato di re Carlo di Borbone; destinato a ospitare i poveri e i diseredati del Regno, ma anche adolescenti e giovani perché imparassero un mestiere. La sua progettazione fu affidata a un insigne architetto fiorentino come Ferdinando Fuga che aveva già lavorato a Roma al Palazzo del Quirinale con la “manica lunga” e al Palazzo della Consulta. A Napoli nel 1751 iniziarono i lavori: il cantiere rimase aperto per decenni e mai concluso. Il progetto originario, così come lo si vede nella mappa del Duca di Noja, prevedeva cinque corti e la fabbrica era lunga oltre 600 metri; fu realizzata, nel tempo, a tre corti e la facciata attuale è lunga ben 385 metri.
Fu infatti progettato per ospitare, separandoli per sesso ed età, ottomila ospiti. Il progetto originario di Fuga rimase incompiuto alla sua morte nel 1781 e successive modifiche furono apportate da Mario Gioffredo, Carlo Vanvitelli e Francesco Maresca. Non è questa l’occasione per far la storia aggrovigliata della fabbrica: Paolo Giordano nel sontuoso volume L’Albergo dei poveri a Napoli ( La scuola di Pitagora editrice, foto di Mimmo Jodice, 400 pagine), con il suo pluriennale lavoro di rilievo e d’indagini sul campo ci offre una rassegna esemplare di splendidi disegni, che mettono in evidenza il registro compositivo adottato da Fuga. Questi era un figlio della cultura illuminista, ma capace anche di soluzioni innovative quale è quella di collocare nella corte centrale (in miserevole disfacimento) una grande chiesa a pianta centrale con quattro navate a croce di Sant’Andrea dove raccogliere, ancora separatamente, gli uomini e le donne, i bambini e le bambine.
Un vero Panopticon che sarebbe piaciuto a Michel Foucault, il quale — posso testimoniarlo — mai l’aveva visto. Meccanismi di separazione tipologica; analisi dei flussi di percorso degli ospiti all’interno dell’edificio; individuazione delle diverse strutture di collegamento verticale destinate agli ospiti o ai ministri dell’edificio: sono questi i punti salienti chiariti dalla più recente ricerca sull’Albergo dei Poveri, su cui spicca una storica come Elizabeth Kieven. Paolo Giordano con le sue ricerche e i suoi rilievi, ha posto basi solide per ogni futuro intervento, consentendo alla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e al Comune di Napoli di predisporre, nel 2002, un progetto di restauro e riconfigurazione dell’Albergo dei Poveri. Purtroppo i recenti lavori di restauro che si sono allontanati dall’ipotesi predisposta da Giordano, non fanno ben sperare.
La monocromia bianca attribuita recentemente all’edificio settecentesco rappresenta una contradictio con le reali caratteristiche d’identità della fabbrica. Al di là dello scandaloso abbandono, la morfologia e la tipologia dell’edificio nella sua secchezza è tale che molte ipotesi d’uso sono possibili. Non certo quello prospettato in una ricerca commissionata dal sindaco Bassolino e dall’assessore De Lucia che prevedeva un fantomatico Museo del Mediterraneo e persino un hotel di lusso (sic!). Né è credibile l’ipotesi pure avanzata di farne una «Città per i bambini», quasi un’inclinazione sadiana per i poveri malcapitati. Il problema essenziale è che il restauro della fabbrica non può condursi pezzo per pezzo, ma deve essere chiara la visione dell’insieme e la destinazione d’uso che avrà. Una così immensa fabbrica dovrà avere di necessità un uso polifunzionale. Chiunque può leggere quanto scrissi sul tema in Bella Italia. Patrimonio e paesaggio tra mali e rimedi ( Electa, 2007). Il progetto di fattibilità va condotto in concerto con l’ipotesi di restauro. Qualunque studioso di questi argomenti sa benissimo che queste ipotesi debbono procedere su binari paralleli: conoscenza del manufatto analitica (finalmente c’è!), valutazione degli interventi da compiere, ipotesi di riuso, dunque analisi dei costi e dei benefici che si traggono dall’una o dall’altra ipotesi. Una delle storture concettuali più perversamente diffuse nel nostro tempo è che l’economia sia la scienza delle scienze, una scienza (esatta?) dominante a cui piegare i monumenti e talvolta la vita degli uomini.
L’Albergo dei Poveri è una fabbrica ben più delicata del Lingotto di Torino (un modulo in cemento armato) e qualunque ipotesi d’uso deve — in primis — misurarsi con la qualità architettonica del manufatto e con la sua storia. La soluzione che avanzai fu quella di un mallo di funzioni, a cui aggregare molteplici attività congrue: pensai che questo mallo potesse essere la Biblioteca Nazionale, oggi a Palazzo Reale in spazi del tutto inadeguati alla crescita dei due milioni di volumi e alle funzione di una moderna biblioteca. A sostegno di questa ipotesi c’è il vantaggio di liberare larghi spazi in Palazzo Reale e ricondurli alla sua naturale destinazione museale. Lasciando in Palazzo Reale solo i nuclei bibliotecari più antichi e preziosi. Come è accaduto a Parigi con la Biblioteca Nazionale di Francia che conserva, in centro, solo il nucleo storico della Biblioteca Doucet e ha trasferito a Bercy la BN. Gli spazi di Fuga sono per la loro razionalità illuminata del tutto idonei a ospitare una biblioteca senza che si debba intaccare o ledere i caratteri tipologici dell’Albergo. Ma è insensato procedere a mozzichi e bocconi. Un complesso analogo all’Albergo dei Poveri, pressoché contemporaneo, nel centro di Madrid è divenuto una sorta di Beaubourg spagnolo: il Centro de Arte Reina Sofia ospita mostre e spettacoli, attività scientifiche e didattiche, centri commerciali e per il tempo libero.
Nei vastissimi spazi dell’Albero dei Poveri potrebbero essere ospitate attività idonee e indispensabili a una grande biblioteca: studi, istituzioni di formazione pubbliche e private, scuole e laboratori per il restauro dei libri e della rilegatura, laboratori artigiani per restauri d’opere d’arte e di mobilia, gallerie d’arte: attività a cui potrebbero concorrere istituzioni pubbliche e private, auspicando che queste ultime battano un colpo. Lo stato penible è tale da non meritare commenti. La questione è da anni nelle deboli mani del sindaco, ma investe direttamente il ministro Franceschini perché l’Albergo dei Poveri non è un relitto da rottamare: è una delle fabbriche più insigni e possenti dell’Europa dei Lumi ridotta a rovina piranesiana.
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