sabato 7 gennaio 2012

Pier Aldo Rovatti - ”Follia e potere, così tutti lo citano senza conoscerlo. Cinquant´anni fa usciva uno dei libri più importanti e più pubblicati del pensatore francese. Eppure ancora oggi, nonostante gli studi, le sue lezioni non sono state capite fino in fondo”" @ Repubblica 07.01.2012



Pier Aldo Rovatti - Nostalgia Foucault
Repubblica - Supplemento R2 - 07.01.2012


Il 1961, poco più di cinquant´anni fa, fu un´annata eccezionale. Esce Folie et déraison di Michel Foucault (ovvero la Storia della follia nell´età classica), il primo dei suoi grandi libri, il capolavoro. Ma escono anche altri libri epocali come I dannati della terra di Frantz Fanon e Asylums di Erving Goffman. Tutto sembra girare attorno alla condizione del malato mentale e alla critica delle istituzioni psichiatriche, e bisognerebbe ricordare anche che nello stesso 1961 Franco Basaglia inizia a Gorizia quella straordinaria avventura che porterà alla chiusura del manicomio di Trieste e alla “legge 180″. Ma c´è molto di più, qualcosa come un cambiamento di passo nella consapevolezza culturale, proprio grazie a una riflessione radicale sugli internati e sugli esclusi.
La Storia della follia di Foucault venne subito tradotta in italiano, non scomparve mai dalle librerie, e adesso disponiamo anche (e finalmente) di un´edizione completa, senza tagli né omissioni (sempre per i tipi Bur Rizzoli, a cura di Mario Galzigna). Tuttavia, quest´opera così importante è rimasta marginale, spesso svalutata, perfino dimenticata: non è mai entrata davvero nel dibattito teorico, come se su di essa fosse subito calato una specie di interdetto, che poi si è perpetuato negli anni, al punto che c´è da chiedersi se ancora oggi – quando ormai Foucault è diventato per tutti un “classico” – non ne resti un´ombra consistente.
Gli storici hanno storto il naso. I filosofi hanno il più delle volte fatto spallucce, domandandosi quale fosse il succo teoretico di quelle 500 pur affascinanti pagine. Storia di un “silenzio” (il silenzio sulla follia)? Racconto di come dal “grande internamento” del XVII secolo nasce la moderna psichiatria? Elogio postromantico di alcuni grandi folli (da Hölderlin a Van Gogh ad Artaud), intesi come voci che gridano nel deserto? Non erano cose per palati filosofici né per quegli intellettuali impegnati che avevano da fare con il marxismo umanistico. Neppure nel ´68 la Storia della follia venne presa davvero sul serio. La leggevano soltanto alcuni operatori intelligenti immersi nelle loro pratiche specifiche, e non erano neanche tanti.
Foucault, con il quale Sartre polemizzava, rimase a lungo lo “strutturalista” Foucault, quel provocatore che aveva sentenziato, nelle ultime righe di Le parole e le cose (1966), la “morte dell´uomo”. Lentamente, in seguito, cominciarono a circolare le sue parole chiave: archeologia, genealogia, pratiche discorsive. Intanto lui era entrato nel prestigioso Collège de France, e di lì a poco avrebbe fatto capire anche ai sordi che il suo programma teorico aveva di mira essenzialmente il “potere” e l´obiettivo di costruire una inedita “microfisica del potere”. 

L´etichetta di strutturalista sbiadiva così, ridicolmente, dinnanzi a libri come Sorvegliare e punire e La volontà di sapere, per non parlare degli ultimi corsi dedicati alla biopolitica e al “governo di sé e degli altri” (fino all´ultimissimo del 1984 sul Coraggio della verità, appena tradotto).
Foucault è oggi noto e apprezzato in tutto il mondo, ha fornito strumenti di lavoro a una moltitudine di ricercatori. Eppure l´interdetto non sembra del tutto caduto. Ogni volta, all´inizio dei suoi corsi, Foucault ha ricordato, con incredibile chiarezza espositiva, le tappe del proprio itinerario, una linea di ricerca senza salti che va dalla follia alle prigioni, alla sessualità, attraverso un´indagine paziente dei dispositivi sociali, delle pratiche che le fanno funzionare piuttosto che sulle filosofie generali con cui pretendiamo di afferrarne dall´alto le ragioni.
Ecco dove, a mio parere, si è annidato il sospetto. Perché Foucault non ci dice cos´è la follia (cos´è il potere, cos´è la sessualità)? Che bisogno c´è di occuparsi del fatto che il folle sia stato trasformato in un malato mentale? Il malato mentale non è forse una realtà per noi acquisita? 

E perché mai – qui sta l´essenza del sospetto – la malattia mentale dovrebbe agire come un indicatore così importante da trasformarsi in una posta teorica e politica valida per l´intera società?
Mi dispiace affermarlo con tanta nettezza, ma porsi domande come queste, rivolgerle a Foucault, vuol dire rifiutarsi di entrare nel suo discorso e nel suo stile di pensiero. Significa non mettersi in sintonia neppure con una riga delle migliaia e migliaia che ha scritto, nonostante tutti ormai gli rendano omaggio, nonostante gli innumerevoli commenti e i prestigiosi convegni a lui consacrati. Se ragioniamo con attenzione sulla mancata ricezione della Storia della follia (come in parte ha tentato di fare l´ultimo fascicolo della rivista aut aut, dedicato specificamente a questo nodo), vediamo bene che non ha tutti i torti chi dice che non abbiamo ancora cominciato a “leggere” Foucault.”"



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