Mal fare, dir vero
Einaudi 2013
L’avventuroso ritrovamento del corso di Lovanio conferma
quale sia stato il problema che ha orientata, dall’inizio alla fine, il lavoro
di Michel Foucault: quello della verità, nei suoi rapporti con la soggettività.
Una verità qui declinata nella forma peculiare ed esclusiva della storia
dell’Occidente, quella della confessione. Il cuore di queste lezioni, infatti,
è costituito dalla ricostruzione del dispositivo che va dalle pratiche
penitenziali nel cristianesimo primitivo alle procedure di veridizione di sé e
sottomissione nel monachesimo cenobitico. E’ lì, secondo Foucault, che è stato
allestito un nuovo tipo di soggettività, ormai indissolubilmente legato
all’obbligo di verbalizzazione della colpa commessa e al dovere di esplorazione
degli arcana conscientiae, nucleo
dell’inquadramento cristiano dell’esistenza individuale. Attraverso la
progressiva generalizzazione ed estensione di un’ermeneutica che si mette a
ricercare nel “foro interiore della coscienza” e nelle spire della
concupiscenza la verità segreta dell’anima, Foucault diagnostica la nascita di
una forma di governo degli individui destinata ad investire la vita nella sua
totalità, fino alle tecniche giudiziare dell’età contemporanea e alle procedure
di medicalizzazione dell’esistenza, origine di tutte le psicologie che
pretenderanno, di lì in avanti, di decifrare i misteri dell’anima, facendoci
credere che solo così potremo accedere alla libertà e alla verità. E’ forse
proprio per rimettere in discussione tutto questo che Foucault si spingerà a formulare
il solo imperativo e la sola prescrizione che abbia mai enunciato: “Non
confessiamo mai!”.
Nessun commento:
Posta un commento