domenica 20 settembre 2015

:: Dromology Archive 10 :: Il futuro del comunismo è Marx oppure Mach? - Parte XX - Recensione del libro "Gli algoritmi del capitale" (curato da Matteo Pasquinelli) - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)


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Il futuro del comunismo è Marx oppure Mach?


Recensione del libro "Gli algoritmi del capitale" (curato da Matteo Pasquinelli) 


Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)


La domanda paradossale e retorica è la seguente: e se il futuro del comunismo, inteso come nucleo etico-riformatore della nostra società, fosse il pensiero di Mach e non più il materialismo dialettico engelo-marxista propugnato abrasivamente dal suo dogmatico divulgatore, cioè Lenin? E, dunque, se il futuro della critica al plusvalore algoritmico risiedesse nel passato, o almeno nella riconsiderazione critica delle fondamenta speculative del socialismo? Queste domande sono meno aliene di quanto sembrino in prima battuta, se consideriamo che Lenin diede alle stampe nel 1909 il libro Materialismo e Empiriocriticismo. Si tratta di un pamphlet che, nella peggiore tradizione comunista, fu usato come strumento per colpire un bersaglio politico, anzichè essere un libro teoretico polemico verso una filosofia materialista antagonista. L'obiettivo principale di Lenin - il testo era fomentato e suggerito da Plechanov, marxista ortodosso nonché allievo di Engels - era denigrare e distruggere intellettualmente Alexander Bogdanov, filosofo e scienziato, nonché leader principale dei bolscevichi russi dopo la rivoluzione fallita del 1905, sostenitore di un materialismo fortemente debitore del pensiero dello scienziato e fisico austriaco Ernst Mach, il teorico e studioso, tra le altre cose, della velocità di propagazione di un suono nell’aria e nei fluidi. Lenin bollò le teorie ‘empiriocriticiste’ di essere reazionarie, e per la nota proprietà transitiva dell’insulto, il marxista-machista Bogdanov, si ritrovò ad essere etichettato come la quintessenza incarnata del reazionario. E pensare che l’ala bogdanovista del partito era quella più a sinistra... In un recente libro di McKenzie-Wark, Molecular Red (Verso, 2015) - un’opera che non stentiamo a definire ‘superba’ - l’intellettuale newyorchese ricostruisce minuziosamente proprio il rapporto Lenin - Bogdanov alla luce della loro controversia politica-economica-filosofica del 1908-1909. I metodi leninisti, tristemente famosi in tutti i loro aspetti teorici, organizzativi e storici, hanno poi contribuito massivamente alla tragedia del ‘socialismo reale’ e a minare per sempre l’occasione storica di un potere rivoluzionario sovietico, meno militarizzato e totalitario. Del leninismo non rimangono che rovine; ora non rimane che salvare Mach e Bogdanov, oltre a ciò che resta di Marx. E ‘Molecular Red’ è necessario   perché ripropone e contestualizza sul palconoscenico mondiale delle idee, e dunque della politica, proprio la figura e la statura intellettuale di Bogdanov, di Platonov e del Proletkult.

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