Pic: Alessandro Fontana |
POCHISSIMI anni sono trascorsi dalla morte di Michel Foucault (prematura e quando ancora era nel pieno della sua attività di ricerca), e già la tendenza è di dimenticarlo, come se Foucault fosse tra quelli cui si accompagna un' attenzione passeggera o contestuale e che poi rivelano scarsa tenuta speculativa. A mostrarci l' esatto contrario matura adesso un' iniziativa editoriale promossa da una piccola casa ma che ha a mio parere una rilevanza culturale assoluta: mi riferisco alla pubblicazione (da noi prima ancora che in Francia) dei corsi che Foucault tenne al Collège de France di Parigi a partire dal 1970, e in particolare a quello ora in libreria (Difendere la società - Dalla guerra delle razze al razzismo di stato, Ponte alle Grazie, pagg. 187, lire 25.000), che risale al 1975-1976. Per il linguaggio e per gli argomenti (di questo che è sul tema della guerra, come degli altri corsi che seguiranno tutti in traduzione sulla base dei nastri magnetofonici), Foucault ha qui la estrema chiarezza, e direi la voglia di farsi capire fino in fondo, propria di chi sta pensando, elaborando e sistemando a voce alta, in una dimensione tra il pubblico e il privato, in un laboratorio dunque rassicurante: e proprio perché il laboratorio è suo si sente di mettersi in gioco completamente, provocando e rischiando. Ed è allora difficile per chi ascolta oggi e per la prima volta questa provocazione (pure già apparentemente nota attraverso opere che sono state molto lette come Sorvegliare e punire e La volontà di sapere), sottrarsi alla sensazione netta che il potere di cui Foucault sta parlando (la Microfisica del potere, ricordate?) appartenga a un discorso che non è ancora entrato, che deve ancora essere compreso e utilizzato. Il potere non emana, circola, insisteva a dire e mostrare Foucault: e gli individui moderni (cioè semplicemente: noi) che si credono soggetti di diritti e perciò anche detentori di potere, sono piuttosto assoggettati, o meglio sono gli elementi di raccordo della circolazione dei poteri. Da qui Foucault muoveva per ricostruire qualcosa del gioco complicato tra verità e potere, e poi, successivamente, per riflettere con un grande arco storico sul governo di se stessi e sugli effetti di questa soggettivazione. Non mi pare proprio che questa provocazione teorica (con il suo metodo genealogico e con tutta la macchina di guerra di cui Foucault la dotava) sia stata assunta, fatta funzionare, messa alla prova ed eventualmente superata, all' opposto la si è sbrigativamente accantonata per tornare a parlare (più liberamente?) di diritti umani, di sovranità, e in fondo come sempre di illuminismo. Baudrillard aveva pregato, in quegli stessi anni, di dimenticare Foucault buttando nel meccanismo della microfisica del potere il sasso del desiderio: tanto bastava, secondo lui, per incepparlo. Ma l'oblio effettivo di adesso ci appare assai meno teorico: infatti Foucault è stato squalificato alla stregua di uno di quei saperi minori su cui si affannava, proprio per riuscire a sottrarli dall'ombra della teoria-sovrana e farne vedere l' efficacia. Insomma: si considera Foucault come se fosse un pensatore minore, né storico né tanto meno filosofo, né carne né pesce. Dov' è la filosofia di Foucault? (Ci si ricorda, con imprecisione, che era uno strutturalista...). E se invece dovessimo ricordarci di Foucault? Il gruppo di lavoro che si è dato da fare sui corsi al Collège (Mauro Bertani, Gilbert Burlet, Alessandro Fontana, Valerio Marchetti) ci invita precisamente a farlo: non intendono limitarsi ad arricchire di documenti inediti un dossier già ricco per chi vuole usarlo, bensì proprio rilanciare la provocazione. Provocazione locale, vale a dire legata specificamente all' argomento di questo corso in cui si afferma che la politica è la guerra continuata con altri mezzi, e che i curatori sintetizzano così: Chi correrebbe il rischio, come fa Foucault in queste lezioni, di liquidare Machiavelli in qualche riga, di non rendere il dovuto omaggio, tutt'altro, al venerabile Hobbes, di non parlare di Montesquieu per attribuire invece tutta un' importanza nuova ai levellers inglesi e all'oscuro Boulanvilliers? Chi è disposto ad accettare l'idea che, dietro le riforme e i lumi, si celi una vasta impresa di normalizzazione dei saperi e degli individui, dei corpi e delle anime?. Ma poi, e soprattutto, la provocazione nei confronti di un modo generale e assodato di pensare: Foucault si chiede, prima di tutto cosa nascondono, cosa ci impediscono di vedere le grandi teorie della sovranità e del soggetto sovrano, quell' idea di uomo che si erge, potente e astratta, contro il potere repressivo. Per lavoro genealogico Foucault intende (certo con l'occhio a Nietzsche) uno scavo su questo accecamento; per ritrovare qui, come dice, il rumore della battaglia, le lotte e gli scontri, con la loro polvere e anche i loro miti. E indicarci che c' è una dimensione concreta del potere e che lì prende corpo il gioco dei saperi e delle verità, delle discipline, delle costrizioni e delle pretese. Per metterci sull' avviso dei pericoli che derivano dal credere che il pensiero viene dopo, a pace fatta, come una dimensione più alta e soprattutto fuori della mischia. Ma non è questo già un surrogato del pensiero? E perché non riflettere proprio sugli effetti inibitori delle teorie globali? Perché non vedere piuttosto la battaglia dei saperi contro gli effetti di potere del discorso scientifico? Ricordarsi del rumore della battaglia (o del sangue seccato nei codici, come dice in un punto icasticamente) non vuol dire solo parlare di guerre, di scontro tra razze (normanni e sassoni nel discorso dei levellers inglesi), tra classi e segmenti di classi (come nel caso del sovrano che usurpa i diritti dei nobili in Boulanvilliers; ma ci sono poi le pagine sull'antisemitismo degli uomini della Comune di Parigi), vuol dire anche, e io credo principalmente, riflettere sulla costellazione metaforica che compete al discorso sul potere e sui saperi, fatta di tattiche e di strategie: tattiche dei saperi e strategie della verità. Accorgendosi così degli intrecci fondamentali tra lotta e discorso. C'è ancora qualcosa di Marx in questo? Può darsi: ma è un Marx formidabilmente radicalizzato, passato al setaccio di Nietzsche. Ma poi, a ben vedere, alla genealogia di Foucault non interessano queste o altre ascendenze, che finirebbero per riportarci nel gioco filosofico: interessa invece produrre analisi, descrizioni (che non sono né teoriche né solo empiriche: ecco un buon motivo per non dimenticarle), o riattivare forme di sapere, per così dire, attraverso un' erudizione che guarda in basso. Per esempio, per correggere luoghi comuni attivati proprio dal materialismo storico e dal suo debito nei confronti di una teoria inglobante e autoritaria. Dice Foucault, all' inizio del corso, riassumendo il lavoro già compiuto negli anni precedenti: Non è stata la borghesia a pensare che la follia dovesse essere esclusa o la sessualità infantile repressa. Sono stati invece i meccanismi di esclusione della follia, di sorveglianza della sessualità infantile che, a partire da un certo momento e per ragioni che bisogna ancora studiare, hanno messo in evidenza un profitto economico, un' utilità politica, e improvvisamente e in modo del tutto naturale, si sono trovati colonizzati e sostenuti da meccanismi globali e dall' intero sistema dello stato. Se ci ricordassimo di Foucault dovremmo fermarci su quello in modo del tutto naturale, e lì sorprenderci e scavare a rischio di mettere a repentaglio i nostri modelli di pensiero (a cominciare, ovviamente, dal modello del Leviatano).
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