martedì 31 gennaio 2012

Giorgio Agamben - Altissima poverta'. Regole monastiche e forma di vita - Neri Pozza, It, Ottobre 2011 - De la très haute pauvreté, Rivages, Fr, 2011, Septembre 2011



Che cos'è una regola, se essa sembra confondersi senza residui con la vita? E che cos'è una vita umana, se in ogni suo gesto, in ogni sua parola, in ogni suo silenzio non può più essere distinta dalla regola?
È a queste domande che il nuovo libro di Agamben cerca di dare una risposta attraverso un'appassionata rilettura di quel fenomeno affascinante e sterminato che è il monachesimo occidentale da Pacomio a San Francesco. Se il libro ricostruisce nei particolari la vita dei monaci nella loro ossessiva attenzione alla scansione temporale e alla regola, alle tecniche ascetiche e alla liturgia, la tesi di Agamben è, però, che la vera novità del monachesimo non sta nella confusione fra la vita e la norma, ma nella scoperta di una nuova dimensione, in cui forse per la prima volta la «vita» come tale si afferma nella sua autonomia e la rivendicazione dell'«altissima povertà» e dell'«uso» lancia al diritto una sfida con cui il nostro tempo deve ancora fare i conti.
«Come pensare una forma-di-vita, cioè una vita umana del tutto sottratta alla presa del diritto e un uso dei corpi e del mondo che non si sostanzi mai in un'appropriazione? Come pensare la vita come ciò di cui non si dà mai proprietà, ma soltanto un uso comune?».

«L'"altissima povertà", col suo uso delle cose, è la forma-di-vita che comincia quando tutte le forme di vita dell'Occidente sono giunte alla loro consumazione storica».



LE REGOLE MONASTICHE SECONDO AGAMBEN

di Antonio Gnoli
La Repubblica

Le regole monastiche secondo Agamben

L'ultimo saggio del filosofo sulla povertà. E sull'ideale della vita in comune

Si può scegliere la povertà senza subirla? Questione delicata, soprattutto per noi moderni, abituati a vedere nella ricchezza uno dei prepotenti obiettivi della nostra esistenza. Eppure la storia convoca esempi in cui la povertà è un gesto che nasce da una decisione piuttosto che da un'imposizione e che ci condanna a una rassegnata e indesiderata condizione di indigenza. È facile nascere o diventare poveri, ma esserlo, con tutte le implicazioni profonde di tale condizione, può aprire scenari giuridici, etici e politici per noi impensabili.

Il nuovo libro di Giorgio Agamben - Altissima povertà (Neri Pozza) - sceglie la figura del monaco per analizzare il complicato rapporto tra povertà e regola. O meglio ancora, come scrive l'autore: «Il dispositivo attraverso il quale i monaci provarono a realizzare il loro ideale di una forma di vita comune». Che cosa hanno di interessante quelle figure religiose che tra il quarto e il quinto secolo si produssero in una letteratura al cui centro erano state elaborate le regole monastiche? Fa notare Agamben che proprio quei testi, tanto disparati e monotoni da risultare disagevoli al lettore moderno, possono chiarire, meglio di tanti libri di etica o di diritto, la relazione tra l'azione umana e la norma, tra la vita e la regola. Ma occorre aver chiaro che l'ideale monastico nasce prima come fuga solitaria e individuale dal mondo (l'eremo) e solo in seguito si trasformerà in un ideale di vita comunitaria (il cenobio). Cioè diventerà u sistema capace di dar vita a una comunità di credenti, dove tutto è in comune. Abitare insieme non è solo un fatto materiale ma una condizione spirituale, grazie alla quale il monaco si eleva verso il cielo. Nella Scala claustralis di Bernardo sono quattro i gradini dell'innalzamento: la lettura, la meditazione, la preghiera, la contemplazione. Un tale movimento presuppone un nuova scansione temporale «il cui rigore», osserva Agamben, «non soltanto non aveva precedenti nel mondo classico, ma, nella sua intransigente assolutezza, non è stato forse uguagliato in alcuna istituzione della modernità, nemmeno dalla fabbrica taylorista». La vita del monaco è interamente regolata da una divisione del tempo che ritroveremo dispiegata nei dispositivi della modernità. Ma cosa ci insegna quell'esperienza sulla quale scese anche la condanna della Chiesa?
Uno dei punti di snodo nella riflessione di Agamben è il francescanesimo, per il quale il rapporto tra regola e vita si fa più acuto e più bruciante il conflitto con la curia. È Francesco a porre al centro del modello di vita dei frati minori l'altissima paupertas. Dove per povertà si deve intendere non solo, o non tanto, una pratica ascetica di perfezione in cambio della salvezza, ma soprattutto una diversa concezione dell'uso dei beni e del loro possesso. Per i francescani e per il suo fondatore è possibile una vita fuori dal diritto (abdicatio iuris), ossia fuori dalla proprietà. Di qui, ad esempio, l'importanza che gli animali rivestono in Francesco, le loro vite autonome dal diritto sono un modello per i fratelli la cui condotta implica una rinuncia alla povertà, ma non all'uso, dei beni. Molto prima che nascessero i movimenti che rivendicheranno l'abolizione della proprietà, il francescanesimo adotta una povertà di tipo nuovo che si richiama al vivere secondo la forma del santo Vangelo. Quella che potrebbe essere una posizione teoricamente feconda finirà, nei secoli successivi, col diventare marginale. La parte conclusiva del libro converge sulla sconfitta delle posizioni francescane. Il limite dei teorici francescani è, per Agamben, riconducibile alla loro incapacità di approfondire la teoria dell'uso e di connetterla con l'idea di forma di vita. Sono questi i due grandi dispositivi che l'Occidente, dopo il fallimento francescano, ha lasciato sospesi, irrisolti, impensati.


De la très haute pauvreté |  Giorgio Agamben
Règles et forme de vie (Homo Sacer, IV, I)
Paru le : 14-09-2011  
Traduit de l'italien par Joël Gayraud

Qu'est-ce qu'une règle, si elle semble se confondre avec la vie ? Et qu'est-ce qu'une vie humaine, si en chacun de ses gestes, en chacune de ses paroles, en chacun de ses silences, elle ne peut plus se distinguer de la règle ?

C'est à ces questions que le nouveau livre de Giorgio Agamben tente de donner une réponse, à la faveur d'une relecture passionnée de ce phénomène fascinant et d'une portée considérable que fut le monachisme occidental depuis Pacôme jusqu'à saint François d'Assise. Tout en s'appuyant sur une reconstruction minutieuse de la vie des moines dans leur souci obsessionnel de la scansion temporelle et de la règle, Agamben montre que la véritable nouveauté du monachisme ne réside pas dans la confusion entre la vie et la norme, mais dans la découverte d'une nouvelle dimension humaine où, pour la première fois peut-être, la «vie» comme telle s'affirme dans son autonomie et où la revendication de la «très haute pauvreté» lance au droit un défi dont notre époque doit encore tenir compte.

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