Giorgio Agamben, Opus Dei Archeologia dell'ufficio
Opus Dei è il termine tecnico che, nella tradizione della Chiesa cattolica di lingua latina, designa, già a partire dal vi secolo, la liturgia, cioè «l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo … nel quale il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra» (Costituzione della sacra liturgia del 4 dicembre 1963).
Il vocabolo «liturgia» (dal greco leitourgia, «prestazione pubblica») è però relativamente moderno: prima che il suo uso si estendesse progressivamente verso la fine del xix secolo, troviamo al suo posto il termine latino officium, la cui sfera semantica non è agevole da definire e che, almeno in apparenza, nulla sembrava destinare alla sua nuova fortuna teologica.
Nel Regno e la Gloria, avevamo indagato il mistero liturgico soprattutto nella faccia che esso volge verso Dio, cioè nel suo aspetto oggettivo e glorioso; in questo volume, la ricerca archeologica si orienta invece sull’aspetto che riguarda soprattutto i sacerdoti, cioè i soggetti cui compete, per così dire, il «ministero del mistero». E come, nel Regno e la Gloria, avevamo cercato di chiarire il «mistero dell’economia» che i teologi avevano costruito rovesciando un’espressione paolina in sé perspicua, si trattava qui di strappare il mistero liturgico alle oscurità e alla
vaghezza della letteratura moderna sull’argomento, restituendolo al rigore e allo splendore dei grandi trattati medievali di Amalario di Metz o di Guglielmo Durando.
La liturgia è, in verità, così poco misteriosa, che si può dire che essa coincida anzi con il tentativo forse più radicale di pensare una prassi assolutamente e integralmente effettuale. Il mistero della liturgia è, in questo senso, il mistero dell’effettualità e solo se si comprende questo arcano è possibile intendere l’enorme influenza che questa prassi solo in apparenza separata ha esercitato sul modo in cui la modernità ha pensato tanto la sua ontologia quanto la sua etica, la sua politica come la sua economia.
Come suole avvenire in ogni ricerca archeologica, anche questa ci ha condotto, infatti, ben al di là dell’ambito da cui avevamo preso le mosse. Come attesta la diffusione del termine «ufficio» nei settori più diversi della vita sociale, il paradigma che l’opus Dei ha offerto all’azione umana si è rivelato costituire per la cultura secolare dell’Occidente un polo di attrazione pervasivo e costante.
Più efficace della legge, perché non può essere trasgredito, ma solo contraffatto; più reale dell’essere, perché consiste soltanto nell’operazione attraverso cui si dà realtà; più effettivo di qualsiasi azione umana, perché agisce ex opere operato, indipendentemente dalle qualità del soggetto che lo celebra, l’ufficio ha esercitato sulla cultura moderna un influsso così profondo – cioè sotterraneo –, che non ci accorgiamo neppure che non soltanto la concettualità dell’etica kantiana e quella della teoria pura del diritto di Kelsen (per nominare solo due momenti certamente decisivi della sua storia) dipendono interamente da esso, ma che anche il militante politico e il funzionario di un ministero si ispirano allo stesso paradigma.
Il concetto di ufficio ha significato, in questo senso, una trasformazione decisiva delle categorie dell’ontologia e della prassi, la cui importanza resta ancora da misurare.
Nell’ufficio, essere e prassi, ciò che l’uomo fa e ciò che l’uomo è, entrano in una zona di indistinzione, in cui l’essere si risolve nei suoi effetti pratici e, con una perfetta circolarità, è ciò che deve (essere) e deve (essere) ciò che è. Operatività ed effettualità definiscono, in questo senso, il paradigma ontologico che, nel corso di un processo secolare, ha sostituito quello della filosofia classica: in ultima analisi – questa è la tesi che la ricerca vorrebbe proporre alla riflessione – tanto dell’essere quanto dell’agire noi non abbiamo oggi altra rappresentazione che l’effettualità.
Reale è solo ciò che è effettivo e, come tale, governabile ed efficace: a tal punto l’ufficio, sotto le vesti dimesse del funzionario o in quelle gloriose del sacerdote,
ha mutato da cima a fondo tanto le regole della filosofia prima che quelle dell’etica.
Prima edizione gennaio 2012
© 2011 Giorgio Agamben
© 2012 Bollati Boringhieri editore
Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86
NEW!: Toni Negri's review of Agamben's Opus Dei
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Opus Dei
Archéologie de l'Office Homo Sacer ,II, 5
Giorgio Agamben
Traduit par Martin Rueff
Date de parution 12/01/2012
L'Ordre philosophique
Opus Dei, l’« œuvre de Dieu » est l’expression qui désigne tout au long de l’histoire de l’Église catholique la liturgie, c’est-à-dire l’office du prêtre à qui incombe le « ministère du mystère ». Cette œuvre n’est-elle pas, en apparence, ce qu’il y a de plus séparé des pratiques qui régissent la vie des individus et des sociétés modernes ?
C’est cette séparation que l’enquête archéologique de Giorgio Agamben se propose de démasquer, en dévoilant les filiations inattendues et les liens cachés qui l’unissent à la modernité.
Comprendre le mystère de l’office signifie alors saisir l’influence considérable que cette pratique a exercée sur la manière dont notre culture a conçu son éthique comme sa politique, son économie comme son ontologie. Car le mystère de l’office n’est autre que le mystère de l’efficacité, à l’intérieur duquel ce que l’homme est se résume dans ce qu’il a à faire et où tout acte est un acte d’office. Du fonctionnaire au militant politique, de l’officier au professionnel, le paradigme de l’office n’a cessé de modeler la praxis des hommes : plus efficace que la loi, parce qu’il ne peut être transgressé ; plus réel que l’être, parce qu’il ne consiste que dans l’opération par laquelle il se fait réalité ; plus absolu que toute action humaine, parce qu’il agit indépendamment des qualités du sujet qui l’exerce.
Giorgio Agamben est philosophe. Son œuvre est mondialement connue. Parmi ses livres les plus récents, indiquons : Nudités (Rivages, 2009) et De la très haute pauvreté (Rivages, 2011). Opus Dei s’inscrit dans le projetHomo Sacer dont plusieurs volumes ont été publiés aux Éditions du Seuil : Homo Sacer, I, Le pouvoir souverain et la vie nue (1997), État d’exception, Homo Sacer II, 1, (2003),Le Règne et la Gloire, Homo Sacer, II, 2 (2008).
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Fervent lecteur de Agamben depuis des lustres, puisque je découvrais ses Stanze en 1981, je ne comprends pas les implications de son dernier 'opus', au demeurant aussi vertigineux d'intelligence et d'érudition que tous ses précédents livres.
RispondiEliminaUn détail: pourquoi le terme grec de kinesis n'est-il pas mis en perspective avec le terme operatio en 2.11 à propos de Marius Victorinus et faut-il attendre 4.3 pour entendre que c'est le concept fondamental d'Aristote (selon Heidegger)?
Surtout: Pourquoi resortir l'hypothèse de la responsabilité rétroactive de Kant dans la Shoa et ce, avec Lacan comme argument d'autorité ? Le 'Tu dois' qu'entendait Eichmann était-il celui d'un adulte autonome respectant son devoir selon une maxime universalisable et ne prenant pas l'autre uniquement comme moyen mais également comme fin dans une structure politique démocratique, ou bien celui d'un rouage zélé d'une structure totalitaire et de terreur et respectant son serment selon un fuhrer prinzip (lex animata)? Eichmann n'a-t-il pas dit 'I would prefer not' obéir aux ordres parce qu'il était kantien ou parce qu'il était nazi?
Pierre Miquel, Paris
il fallait bien entendu lire 'ne pas obéir' (lapsus lacanien)
RispondiEliminale même