“L’equipaggiamento è il mezzo di trasformazione del logos in ethos” diceva Michel Foucault: da tale affermazione prendono avvio le riflessioni di Paul Rabinow contenute in queste pagine, che non hanno come oggetto alcun determinato territorio del sapere, né si propongono di risolvere alcuna specifica questione. Piuttosto, esse mirano ad assemblare “una scatola degli attrezzi concettuali” che possa guidare il pensiero dell’uomo contemporaneo, e a promuovere una modalità sperimentale di indagine valida anche per le scienze umane.
Come pensare alle cose umane è un problema che assilla gli uomini fin dall’inizio della filosofia occidentale: ogni soluzione che intende porsi come definitiva è destinata al fallimento. Nessun consenso è stato raggiunto sui metodi, né sui principi di verifica o sulle forme di narrazione. Le “comunità interpretative” non comunicano realmente tra di loro.
L’originalità del contributo antropologico di Rabinow in tal senso sta nel seguire alcuni particolari percorsi di indagine, come il rapporto tra il ruolo delle arti e quello delle scienze nelle metamorfosi della modernità; le innovazioni tecnologiche viste nei termini di “nuove narrative e nuove metafore”; la centralità data ai concetti di distanza e prossimità, totalità e interconnessione, dunque a dimensioni spazio- temporali determinanti nell’attuale svolta socioantropologica dei linguaggi digitali e della società delle reti, dove si gioca il destino dell’individualismo moderno.
In particolare, colpiscono le intuizioni relative alla funzione che ha l’arte nel fornire modelli di interpretazione della realtà sociale: nella tessitura teorico-sperimentale delle analisi di Rabinow un notevole peso viene affidato a figure come Duchamp e Klee, entrate a comporre non poca parte dei molteplici strumenti raccolti nella sua “scatola degli attrezzi concettuali” e messe avventurosamente alla prova di un progetto a dir poco arduo.
Pensare cose umane è infatti un saggio appassionato quanto complesso – condotto dialogando costantemente con alcuni grandi classici del pensiero moderno, in particolare con la tradizione delle scienze sociali inaugurata da Max Weber – ed è lo stesso autore ad ammetterlo sin dall’inizio: “Il lettore sia avvisato che questo libro richiederà una certa pazienza”. D’altra parte, come potrebbe essere diversamente se la posta in gioco è quella – tornando al Foucault più sondato e teorizzato da Rabinow – di trasformare il logos in ethos e di invitare la ricerca scientifica ad abbandonare le ideologie del progresso e a servire piuttosto ad “avere migliore cura delle cose, di noi stessi e degli altri”?
Paul Rabinow insegna Antropologia presso l’Università di Berkeley (California), dove ha avuto modo di collaborare con Michel Foucault. Tra le sue opere più significative ricordiamo: Michel Foucault. Beyond Structuralism and Hermeneutics (con Hubert L. Dreyfus, 1983; trad. it. La ricerca di Michel Foucault, 1989); Making PCR. A Story of Biotechnology (1996; trad. it. Fare scienza oggi. PCR: un caso esemplare di industria biotecnologica, 1999); Essays on the Anthropology of Reason(1997); French DNA: Trouble in Purgatory (1999); The Essential Foucault (con Nikolas Rose, 2003); Marking Time. On the Anthropology of the Contemporary (2007).
Traduzione it. Edoardo Zavarella
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Paul Rabinow
Pensare cose umane
Introduzione
Ethos, logos e pathos
Paraskeuï [equipaggiamento], (...) costituisce l’elemento di trasformazione del logos in ethos.
Michel Foucault, L’ermeneutica del soggetto
Questo libro si propone come una meditazione sull’affermazione di Michel Foucault secondo cui “l’equipaggiamento è il mezzo di trasformazione del logos in ethos”. Molto lavoro è richiesto, tuttavia, per afferrare il senso di tale affermazione. La difficoltà in parte consiste nel fatto che i termini “equipaggiamento” e “meditazione” sono usati in un peculiare senso tecnico. Inoltre, il perché qualcuno voglia trasformare “logos” in “ethos” richiede a sua volta una spiegazione. Perciò, il lettore sia avvisato che leggere questo libro richiederà una certa pazienza. In più, e inaspettatamente, il libro si rivolge al lettore come a un amico. Inizialmente anche questo ap- pellativo è opaco. Comunque, utilizzando come vademecum la meravigliosa affermazione di Jean Paul secondo cui “la filosofia è l’abilità di farsi degli amici per mezzo di un testo scritto”, abbiamo almeno una certa idea tanto del territorio che sarà visitato nei seguenti capitoli, quanto della maniera in cui quel territorio sarà at- traversato (Sloterdijk 1999, p. 243). Un proposito centrale del libro è di assemblare una scatola degli attrezzi concettuali il cui scopo è il progresso dell’indagine. Le modalità di ricerca che prevalgono correntemente nelle scienze umane sono, mi sembra, carenti in alcuni punti cruciali. Queste carenze sono specialmente marcate nelle re- lazioni conflittuali tra il continuo accumularsi di un corpo di informazioni, il modo in cui a quelle informazioni viene data forma narrativa e concettuale, e come questo sapere plasmi una condotta di vita. Non c’è dubbio che tutto ciò richieda ulteriore elaborazione, e questo libro è un tentativo di rispondere a tale richiesta.
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